1. Santo Timor di Dio e Pietà


Timor di Dio

Perché lo Spirito Santo, se viene, ci fa questo dono?
Esistono paure e paure. C’è la paura di perdere cose mondane, la paura di cose che ci possono succedere, …
Qualsiasi psicologo ci dirà che un uomo senza paura è uno squilibrato. La paura è una cosa sana. È un senso della realtà.

Però noi possiamo avere un timore mondano (S. Tommaso) oppure un timore servile (che può essere anche un timore per le cose di Dio, ma che viene dall’apprensione per la nostra incolumità, la paura di chi ci sta davanti: Dio): non è questo il timor di Dio.
Il timor di Dio non è la paura di Dio, per cui abbiamo terrore delle sue punizioni.

Esiste un altro tipo di timore, che ha sì il senso della Maestà di Dio, ma che ci apre a qualcos’altro.

Il Timor di Dio viene definito un timore filiale.
Un rabbino ha definito il timor di Dio il terrore di cadere nel baratro del nostro egoismo.
Il timor di Dio è il dono del senso del nostro vero pericolo: il pericolo di fare cose brutte, il pericolo di far soffrire il prossimo, il pericolo di chiuderci nel bunker della nostra solitudine.
È un senso del nostro rischio reale.

Ci sono rischi di cui non dobbiamo aver paura (es. il rischio che gli altri pensino male di noi. Ma chi se ne importa? Non è da questo che dipende la nostra vita).

Il rischio di aver fatto male al prossimo. Questo è un rischio vero.
Il rischio di rovinare le cose belle della nostra vita.
                                il proprio matrimonio,
                                la propria vocazione,
                                di sperperare le cose sante di Dio,
                                     di andare fuori mira, di trovarsi alla fine della    vita che non hai fatto niente di importante,
                                     di aver sciupato le occasioni di bene / di
                                   nobiltà / di non esserci aperti alle cose più        belle della nostra vita,
il rischio di                  passare su questa terra e non aver fatto niente di ciò che dovevamo veramente fare,
                               di sperperare una giornata, di non usarla bene.

È possibile che una persona vada fuori mira nella vita? Si sprechi? Si rovini? Si frammenti in una serie di cose piccole e inconsistenti?

? È possibile che un sacerdote perda il proprio smalto, la propria bellezza? Il proprio senso del sacro?

Certo che è possibile. È una cosa di cui dobbiamo aver paura. Perché la vita non è un film americano degli anni ’50, che alla fine “arrivano i nostri” sempre.
Tante volte nella vita le cose non si raddrizzano, e bisogna averne paura.
Bisogna avere il senso del nostro rischio.
San Filippo Neri temeva che Dio potesse lasciarlo a se stesso. Diceva a Dio: “Non lasciare Filippo. Non ti fidare di Filippo”.

Non dobbiamo pensare in maniera superficiale a noi stessi.
Il Santo Timor di Dio ci da il senso della gravità delle cose, del loro spessore, della loro consistenza.

È un dono che ci dà senso di Dio, ci da orrore del peccato, ci da distacco dalle cose piccole, ci da vigilanza sulle cose serie.
È curiosamente opposto al vizio della gola.
Il vizio della gola è questo essere sempre appagati. Questo mangiare, che non è solamente l’atto del mangiare fisico, è questo darsi sempre cose appaganti, vivere di compensazioni, quindi essere sempre soddisfatti. Così ci si intontisce, così ci si rimbambisce e si diventa incapaci di capire i propri rischi.
Come dice il Vangelo: “Mangiavano, bevevano”. Si appagavano, “prendevano moglie”, non si rendevano conto dei loro rischi.

Noi abbiamo bisogno di sobrietà. Abbiamo bisogno di ricordare che ci possiamo fare del male, che possiamo sprecare quel tanto di buono che ci è stato dato da Dio .. e che possiamo non fare un bene che Dio ci aveva offerto di fare.
Lo Spirito Santo per prima cosa ti da il senso delle cose / il senso dei tuoi pericoli / ti da il senso del tuo possibile spreco.
Lo Spirito Santo da profondità allo sguardo sulla vita. Mi rendo conto che le persone possono soffrire per causa mia, che io posso sciupare le cose, le persone, le occasioni.

Lo Spirito Santo, attraverso il Santo Timor di Dio, ci insegna la fragilità delle cose, la loro importanza, la loro occasionalità santa / ci insegna a vivere attenti, svegli.

Il Santo Timor di Dio ci serve enormemente, perché senò noi viviamo tranquillamente con l’idea che tanto tutto si risolve. Non è mica vero che tutto si risolve. Non è vero che le cose sempre si recuperano, uno le può rovinare, le può irrimediabilmente spezzare, perdere.
Lo Spirito Santo ci insegna in primo luogo il senso della realtà e dei nostri pericoli.


La pietà

Viene comunemente intesa come un sentimento di compassione verso il prossimo, a volte con una connotazione negativa.

La pietà viene definito un abito infuso (cioè un dono di Dio) che eccita un affetto filiale verso Dio, da cui deriva affetto verso gli uomini.
La pietà popolare si esprime nel culto / si esprime nei voti che le persone compiono / nelle cose belle che la pietà popolare costruisce.
Ci sono tante cose che sono attestazioni della gratitudine di uomini e donne.
Cioè si tratta di una tenerezza, di una allegria.
La pietà è assolutamente necessaria per la vita santa cristiana. È tenerezza nei confronti di Dio. Implica una capacità affettiva.
È un dono infuso, un abito, cioè l’abitudine a pensare con tenerezza, con dolcezza a Dio.

Da cosa viene? Come lo Spirito Santo suscita in noi questa gioia, questa allegria, questa apertura, questo pensare Dio con bellezza, con sorriso, con gratitudine?
Viene dalla memoria dei doni ricevuti.

Implica un mettersi di fronte alla vita con uno sguardo che sa riconoscere l’azione benevola di Dio in essa.
Noi siamo debitori a Dio di tanto. Dio ci regala tanto.

Ognuno di noi deve fare un viaggio per risvegliare in sé il dono della Pietà.
Quante cose belle sperimentate nella vita!
Quante sorprese. Quanti doni inaspettati. Quanti doni attesi.
Quanti doni naturali (la vita, le amicizie, il dono di una famiglia, il dono di tanti beni materiali e umani) e doni soprannaturali (quanti doni di grazia, chi ci ha annunciato il Vangelo, chi ci ha curato nella fede, chi ci ha fatto sperimentare la bellezza della vita cristiana).

Quante cose belle sperimentate! Quanta memoria ci vuole.
Noi siamo smemorati, che dimenticano il bene ricevuto.

Se uno si mette di fronte alla vita e si chiede:
     “Ma Dio mi ha trattato secondo quello che mi merito o mi ha trattato secondo la sua generosità?”.
Se Dio ci trattasse come ci meritiamo …!
Dio non è pedante, non è noioso, che si mette lì a sottolineare i nostri errori: “Non continua a contestare”, “lento all’ira”, “ma ricco di grazia”.

La pietà ci è assolutamente necessaria, per ricordare il nostro rapporto con Dio. Noi siamo bimbi che ricevono tanto da un papà generosissimo.

Lo Spirito Santo ci parla di Dio, ci parla di Gesù Cristo.
Noi siamo stati generati da un salvatore meraviglioso, generoso, abbondante, che dà lo Spirito senza misura. Dio fa le cose più importanti senza misura.

Qui siamo alla natura propria dello Spirito Santo, che è DONO. Infatti la formula del conferimento della Cresima è “Ricevi il dono dello Spirito Santo.
Lo Spirito Santo è dono. Uno dono è un dono. Si riceve, non si merita. Un dono non si è mai all’altezza di riceverlo.

Un dono è una cosa che si può rifiutare. Lo Spirito Santo può essere contristato, può essere rifiutato.
Nei simboli lo vediamo come colomba, come ebrezza. Ha simboli che ne esprimono la gentilezza. Diventa anche Fuoco, Potenza, ma si avvicina a noi come si avvicina una colomba, come si avvicina un animale timido come la colomba. Da non confondere coi piccioni, che sono più aggressivi.

La pietà parla del dono. Parla dell’aver ricevuto almeno la vita. E la vita non ce la meritiamo mai. La vita è una cosa che ci sovrasta. E questa è sempre più grande anche della sua concretizzazione.
Dio ci ha dato l’essere.

Considerare i doni ricevuti risveglia in noi il dono, ricevuto nella cresima, della pietà.
E la pietà ha un frutto: la tenerezza verso Dio diventa tenerezza verso il prossimo.

Il considerare tutti i doni ci apre al dono dei doni, che è il per-dono.
Essere stati perdonati ci porta a perdonare.
Essere stati oggetto della pazienza di Dio ci porta a esercitare pazienza verso il prossimo.

Lo Spirito Santo si rivela nella tenerezza verso il prossimo.
La pietà si manifesta in noi, nel fatto che siamo davanti agli altri con dolcezza, con pazienza, senza aggressività.
Non credo che una persona abbia lo Spirito Santo quando è feroce e quando chiede vendetta.
Lo Spirito Santo è incompatibile con l’essere esigenti verso il prossimo, e con la richiesta del risarcimento dei danni, feroce e non sana, non equilibrata.

Chi ha lo Spirito Santo, chi ha la pietà perdona.
Chi non perdona non ha la pietà.

Come farà a perdonare? Molta gente dice: “Come faccio a perdonare? Non ci riesco”.
Fai memoria di quello che Dio ha fatto con te. Fai memoria dei doni ricevuti, e allora dai doni arriverai al perdono.
 La pietà insegna la misericordia  


Chiedete lo Spirito Santo.

Quando si chiede lo Spirito Santo, si chiede il dono della paura, il dono di avere il senso del proprio rischio, si chiede di avere occhi per vedere i problemi che io posso creare, perché io possa vedere cosa io posso fare di male ed evitarlo.

Si chiede di avere una buona memoria.
Si chiede di saper stare davanti a Dio non come creditori, ma come debitori. E di avere misericordia nel cuore.

Il dono della pietà è il dono della tenerezza. Guardare a Dio con sguardo grato.

I doni della santa paura e il dono della gratitudine si chiamano timor di Dio e pietà.

Chiedete lo Spirito Santo.

È Gesù stesso che ci invita a chiederlo:
“Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono?” (Lc 11, 9-13).

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