La benevolenza è collegata alla bontà. Non c’è molta differenza tra le
due, infatti ci troviamo di fronte ad una classica figura retorica che si
chiama endiade, cioè si dice un concetto attraverso du e parole diverse.
Tuttavia possiamo trovarvi una sfumatura diversa.
Restiamo sempre di fronte al problema di poter fare confusione oggi tra
parole come questa e il buonismo.
crhsto,thj
viene da crhsto,j che alla radice vuol dire utile, adatto, mentre benevolenza è tradotto spesso come gentilezza,
affabilità. Il motore semantico della parola è invece quello dell’utilità,
adattabilità: essere adatto per qualche cosa / buono sì, ma per qualcosa /
buono a ..
Differisce da avgaqo,j (bello, buono) perché lì era
specificamente la bontà, anche se finalizzata all’altro. Qui invece è
limpidamente un concetto relativo: buono per. es. “ti sei preso una
bella influenza”. Utile, efficace, che compie fino in fondo ciò che deve
compiere. Quello che abbiamo qui è un concetto di opportunità, di efficacia: il
benevolente ha un’intuizione di utilità, ha un’intuizione di efficacia nel suo
atto.
Praticamente il benevolente è dotato di un’intuizione che vede uno scopo
buono da realizzare e riesce a realizzarlo.
Il termine ebraico che viene più frequentemente tradotto con questa
parola, indica una spontaneità, una volontarietà. Cioè è un’intuizione
spontanea che mira all’aspetto utile, proficuo delle cose.
Il benevolente è colui che vede nelle cose che sta affrontando una bellezza,
un’utilità, un’efficacia; asseconda un’intuizione finalizzata dei fatti e delle
persone; è un’attitudine di fronte alla vita e di fronte alle persone, per cui
si coglie costantemente l’aspetto costruttivo.
Questa attitudine costruttiva di fronte alle situazioni è un senso
dell’occasione nella vita, cioè la vita come occasione, le situazioni come
occasioni proficue. È un approccio, una visione che mira al miglioramento delle
situazioni, alla crescita, all’evoluzione buona. È una visione nettamente pasquale
della vita, dove di fronte alle situazioni anche negative io penso che il fine
però sarà buono, che tutto va verso qualcosa di positivo ed io ho un
atteggiamento di ricerca del bene, che cerco di trarre fuori da tutte le
situazioni: cerco di portare le situazioni verso il bene.
Esempio:
- Stiamo vivendo un momento di
svago, oppure abbiamo organizzato del lavoro in un certo modo, ma arriva una
contraddizione / un contrattempo / qualcosa si mette storta: la gita
programmata impatta contro la rottura dell’automezzo / contro il cambiamento
delle condizioni atmosferiche.
Dunque arriva la realtà che mi contraddice, mi mette di fronte alle cose
che io non mi aspetto, spezza i miei piani / le mie aspettative.
Che reazioni si possono avere? Tristezza, mormorazione arrabbiata, senso
di delusione, amarezza, sgradevolezza: praticamente uno rifiuta l’evento.
La benevolenza (la crhsto,thj) è
quell’attitudine per cui di fronte a tutto questo uno comincia a chiedersi: Ma
se fosse un bene? Ma se questo fatto fosse guidato da una mano sapiente? .. in
vista di qualcosa di meglio?
Attenzione! Perché qui potremmo si potrebbe pensare alla
benevolenza come ad una sorta di ottimismo che vede il famoso bicchiere mezzo
pieno. Qui parliamo di un’altra cosa.:
Quando ci troviamo di fronte a qualcosa che non accettiamo, che non
capiamo, lo Spirito Santo semina nel cuore dell’uomo un dubbio / un pensiero
profondissimo: il sospetto che ci sia qualcosa di buono nella contraddizione. Il
sospetto che la giornata non andrà a rotoli: forse c’è qualcosa di positivo!
Forse c’è qualcosa da cogliere. Forse c’è qualcosa che ci sorprenderà o che ci
porterà dove noi non ci aspettavamo, un nuovo non programmato e non pensato,
forse c’è n bene in quello che ci sta capitando.
Dio è il benvolente
La vediamo praticamente nell’attitudine di Cristo. È l’attitudine di Dio
che è benevolo verso gli ingrati e i malvagi (Lc).: essere benevolo verso
l’ingrato e il malvagio vuol dire cogliere da parte di Dio in quell’uomo che
sta ponendo in atto la sua parte peggiore, cogliere il bene possibile. Dio
coglie in quell’uomo non l’errore, ma il buono nascosto che ha ancora da
emergere. Dio guarda ogni uomo con occhio di Padre. Addirittura nelle
situazioni più difficili (come nella croce) Dio ha colto la potenzialità di
salvezza.
Dio è di fronte a noi con un’attitudine costruttiva, propositiva. Si
rallegra per il bene che possiamo compiere. E inizia una storia di salvezza di
fronte al nostro male. E il nostro male può addirittura diventare, per la sua
benevolenza, un luogo di incontro con la sua misericordia. Dio non da il
permesso a nessuno di fare il male, mai in nessun caso benedice il male, ma di
fronte al male che l’uomo compie ha un atteggiamento benevolente, cioè guarda
sempre alla salvezza: Dio non è venuto per condannare ma per salvare.
Allora le mie debolezze nelle mani di Dio diventano l’occasione per
farmi conoscere il suo amore per me, la sua pazienza, la sua incredibile
tenerezza, il suo atteggiamento sempre paterno: un padre genera la vita, da la
vita.
Allora Dio è di fronte a noi sempre in questo atteggiamento di fronte
alla nostra ingratitudine.
Però non è buonismo, perché questo implica anche correzione /
disciplina, implica anche un aspetto di autenticità e di verità che può essere
percepito dall’uomo come durezza, perché Iddio non conosce tenebra, non conosce
menzogna. Ma è capace di trarre il bene dal male, la luce dalla tenebra.
Dio ci guarda sempre come qualcosa di bello. Vede in noi sempre qualcosa
di proficuo, di utile, di efficace. Agli occhi di Dio siamo sempre salvabili,
redimibili, pronti sempre a passare a qualcosa di bello, di meraviglioso.
Tornando a noi, essere portatori della benevolenza dello Spirito Santo
in noi, di questa attitudine costruttiva, diventa un rivolgimento totale, rispetto
al nostro atteggiamento di fronte alle cose rifiutabili della nostra vita.
La benevolenza in noi è un’eco della benevolenza di Dio.
Il fatto che Dio abbia trovato qualcosa di bello in me, che abbia
sfruttato l’occasione della mia debolezza per amarmi, mi apre una prospettiva,
semina in me il sospetto che questo sia vero sempre e mi apre ad una medesima
attitudine verso il prossimo.
Esempi:
- l’occasione di amare qual è?
Ogni amicizia si vede nel momento della necessità. Allora, la necessità dell’altro
non è problema, è occasione: è la mia occasione di essergli amico.
- Il difetto di un coniuge,
vissuto come problematico, è in realtà l’occasione per amare il coniuge: quando
vuoi amare tua moglie se non quando si comporta in maniera insopportabile? Qual
è il momento in cui essere portatori di amore autentico verso un marito se non
quando sbaglia (non per andargli appresso, ma per amarlo). Il momento
dell’amore è il momento del perdono. Amare una persona perché si comporta bene
non è molto sorprendente: “Se amate quelli che vi amano cosa fate di
straordinario?”. Di fatto siamo chiamati a qualcosa di straordinario in quanto
credenti.
Tanta gente cerca avventure, emozioni. L’emozione più grande si ha
sfruttando le occasioni concrete della propria vita, trasformando in
straordinario ciò che è ordinario, mediante l’amore, il perdono, …
Un amico mi fa del male: questo è il momento di amarlo, questo è il
momento di perdonarlo.
Il matrimonio si costruisce attraverso questa intuizione, di vedere lo
sbaglio altrui come l’occasione per il perdono e la benevolenza.
Quando vuoi voler bene a tuo figlio se non quando è debole?
Quando vuoi volere bene a un collega se non quando si sta comportando in
maniera tale che ha bisogno di comprensione, di amore, ha bisogno di essere
perdonato.
È un’intuizione della vita. Siamo nati per cosa? Siamo nati per stare
bene, per farci i fatti nostri e passare la vita in buona pace e morire in
buona salute? O siamo nati per amare?
Se siamo nati per amare, la benevolenza, vede questa occasione nei
fatti, cerca questa occasione nei fatti, come opportunità per sviluppare questa
gratitudine verso un Dio che ci ha amati deboli.
Se Dio mi ha amato quando ho sbagliato, ecco che con gratitudine mi
troverò di fronte all’altro che sbaglia verso di me come l’occasione per
amarlo. Tutto nasce dalla memoria della benevolenza di Dio, dal coltivare
questa intuizione.
E quando amare Dio se non aprendoci ad accogliere ciò che ci sta
mandando. Amare non vuoldire capire. Quanta gente vorrebbe capire la croce che
le capita!? La croce non si capisce. O si ama Dio o infondo gli si sta
chiedendo di farsi più piccolo di noi, essere ridotto alle categorie della
nostra piccola testolina.
La benevolenza è un’attitudine per cui io colgo sempre l’aspetto costruttivo,
l’aspetto positivo (non da ottimista che si rifiuta di vedere il negativo), ma
da colui che crede nell’opera di Dio: io so che Dio trae il bene da tutto. E
allora in una situazione magari particolarmente difficile, siamo invitati a
credere che forse è una grazia quello che ci sta capitando, a pensare che la
cosa che più rifiutiamo magari ci consegnerà il regalo più bello della nostra
vita: la morte ci consegnerà il paradiso. Allora è utile anche la morte.
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