Questo argomento è complicatissimo, non esauribile in mezz’ora.
Dobbiamo
chiarire che cos’è l’amore.
Visto che ci troviamo in tempo di nominalismo, ovverosia la
parola amore è diventata flatus vocis, ognuno gli da il senso che vuole. E
siamo in un grande relativismo per quanto riguarda questa parola.
Cominciamo
eliminando dei malintesi.
Questi malintesi ci aiuteranno a meglio delimitare il campo di questa
parola.
Poniamo alcuni
punti di ordine storico:
noi viviamo in un’epoca che viene da due secoli che hanno dato delle particolari
accentuazioni sull’antropologia che si sono riversate copiosamente sul modo
d’intendere questo atto fondamentale della vita dell’uomo.: L’amore è senza
ombra di dubbio il centro dell’esistenza umana.
E logicamente da come vediamo l’uomo deriva come vediamo l’amore.
Dobbiamo uscire da due malintesi di fondo:
1)
l’amore non è un sentimento;
2) l’amore non è un atto di volontà.
2) Noi veniamo da un’epoca
che deve ancora molto al tempo del razionalismo / da un’euforia su se stesso in
cui l’uomo ha rivendicato il diritto a mettersi al centro del mondo, al centro
della sua propria riflessione.
Un’epoca, che ci ha preceduto,
che ci ha portato ad uno stato caratterizzato da una convinzione: che tutto
quello che facciamo fondamentalmente tutto quello che facciamo è guidato dalla
ragione, dall’intelletto, dal capire, dal poter governare col proprio centro
noetico la realtà.
E allora, anche se questo è già diventato un capitolo obsoleto /
superato, l’amore è diventato un atto di volontà / un atto sottostante a
princìpi.
E il guaio è che abbiamo pensato che questo fosse l’amore cristiano:
l’amore cristiano è stato sdoganato con categorie kantiane / con categorie
razionalistiche: cioè l’amore sarebbe un impegno, uno sforzo, una decisione
dell’io che si rivolge a fare il bene e lo fa con una risoluzione che è
necessaria e sufficiente per arrivare a un risultato soddisfacente.
Questo soprattutto ha influito sul concetto di amore del cristianesimo:
il cristianesimo è forza di volontà / impegno e coerenza.
Ora, questo non è che una piccola parte dell’amore, una parte non
trascurabile o eliminabile.
Certo che l’amore deve essere un atto ragionevole e un atto della
volontà. Ma solo in parte. Questo non ci può bastare.
1) Per movimento pendolare,
la nostra cultura è passata dall’esaltazione della volontà / della ragione /
degli ideali / dalla supremazia del governo delle idee … è passata a una
posizione totalmente spontaneista: noi siamo nel tempo del sinceriamo, dello
spontaneismo, del sentire:
l’amore è diventato sentimento (lo sento, non lo sento): io devo
sentirmi qualche cosa. Se non è completamente spontaneo, completamente
sgorgante in maniera incontrastata e fluida da me .. non è amore: se non me lo
sento non è amore.
Questa deriva è ancora peggiore.
Mentre è agghiacciante pensare all’amore come un atto di solo
intelletto, è raccapricciante pensare all’amore come uno stato di spontaneismo,
posto che l’amore è una relazione.
Se l’amore è ciò che io sento, non andrò mai fuori da me stesso. Cioè
l’altro resta sempre sullo sfondo, non importante, non realmente fine del mio
atto. L’altro (amato?) non è il mio fine, il mio fine sono io (l’altro è
strumentale al mio io). L’altro non è fine a se stesso, ma fine a me stesso.
L’altro non è il luogo del mio donarmi, la destinazione ultima del mio atto, ma
è il luogo in cui prendo per soddisfare me.
Ma è ciò che sento (io dentro) che delimita, determina finalizza quello
che faccio ad una remunerazione mia propria.
Cioè io mi ritrovo in una condizione che il mio stato d’animo è il
principio assoluto che determina quello che invece è un atto relazionale, dove
il mio stato d’animo è solamente una piccola parte.
L’amore implica il sentimento, ok. Ma se l’amore dove partire dal
sentire il problema è che non è l’altro il punto di partenza, né di arrivo.
Es.: quando un genitore si ritrova con un bimbo che si sveglia la notte
e li costringe a stare in piedi ore e ore tutte le notti. E sono cotti di
stanchezza, che ormai non ce la fanno più, alla sesta notte che questo bimbo
non dorme, quando c’è da alzarsi per andare a consolarlo, c’è sentimento? C’è
voglia? C’è desiderio? C’è solamente tanta stanchezza. Ma il problema è: lo
fanno o non lo fanno? Certamente lo fanno. È amore o non è amore? Sicuramente è
amore. dei più puri. Di quelli che non hanno niente in cambio. È quell’amore
che non è fatto per me, è fatto per l’altro.
Questo è l’amore che speriamo di trovare tutti intorno a noi.
Quell’amore in cui noi siamo il vero oggetto dell’atto. Quell’amore che è fatto
perché ci sia il bene. E il bene è il vero scopo. Poi arriverà anche il
sentimento. E arriverà anche la gioia di averlo fatto. Tante volte infatti, in
questi atti di amore autentici, la gioia arriva dopo. Il piacere di aver fatto
un atto d’amore non dev’essere il centro, il motivo per cui lo compio.
Bisogna fuggire questo mondo di sensazioni, di spontaneismi. Certamente
l’atto d’amore deve essere un atto mio, ma l’amore non è un sentimento
solamente, non è un atto di volontà solamente, ma fondamentalmente l’amore è
un atto. È un atto; che implica: sentimento, volontà, intelligenza, che
implica pazienza, gioia, fedeltà, dominio di sé, ...
Non possiamo però designare più approfonditamente l’amore, se non
andiamo a vedere un pochino i termini coinvolti nel NT per definire questa
realtà.
Questo tema è stato oggetto dell’Enciclica del Santo Padre.
Io dico delle cose un pochino semplici / di fruizione diretta.
Anzitutto dobbiamo capire che termine non viene usato:
tutto parte dal problema della traduzione del termine soggiacente,
quello ebraico che fa riferimento al verbo amare.
bh]a; (’aµàv) è il termine che indica l’amore.
Quando i traduttori della LXX,
si mettono a tradurre devono trovare termini corrispondenti. E qui si muovono
male. Perché? Perché la lingua greca conosceva due termini fondamentali: philèo ed erào.
Philèo era quello con cui si intendeva amore e indicava
una predilezione. Noi possiamo dire esterofilo (colui che ama ciò che viene
dall’estero), filantropia, filosofia, ..
Philèo = preferire, diligere. Cioè
una scelta implica una predilezione.
È il termine tipico dell’amicizia.
Mentre i fratelli non si scelgono, gli amici si scelgono. L’amico è colui che è
stato prediletto.
Ecco, questo era l’amore più diffuso.
Un amore che implicava un atto di volontà. Un amore che implicava una decisione,
la scelta di una persona.
Erào indicava l’amore più come stato interiore. Ma
indicava la passione / l’attrazione. Era l’atto di avere un risultato da un
rapporto.
Erào = a) amare appassionatamente,
essere innamorato, invaghito di. b) desiderare vivamente, bramare, aspirare a.
Erào che genera l’eros, che è il
piacere, il godimento sessuale che si riceve in un rapporto fisico . Erotico.
Erotismo.
Quindi, c’era da una parte il verbo della decisione / della scelta di
predilezione di qualcuno e dall’altra parte il verbo della passione, del
piacere fisico.
Questi erano i modi con cui era inteso l’amore nel mondo greco.
Ma la LXX prima e il NT dopo, prendono la strada di un verbo piuttosto
in disuso: il verbo avgapa,w (agapào). Il termine usato qui
da San Paolo: avga,ph.
Questo termine ci porta in un mondo un po’ diverso da quello che abbiamo
nel mondo greco. È un mondo che viene introdotto principalmente e
definitivamente dal Signore nostro Gesù Cristo.
Il verbo avgapaw, è
formato da tre parti:
avga = molto;
apo = indica un
moto da a (qualcosa che si sposta da un luogo a un altro);
aw = indica una realtà stativa / una
situazione.
(suffisso)
Per cui, questa composizione ci fa
arrivare a questo tipo di senso: molto da qualcuno a qualcos’altro che crea
una situazione. E questo suffisso aw indica anche l’atto causativo, di provocare una
situazione.
Molto da qualcuno a qualcos’altro
che crea una situazione.
Detto così è un pochino complicato,
ma il problema è proprio questo: l’amore, così come viene inteso nel NT, è un
movimento da una persona a un’altra ed è un avere molto da dare / un avere
molto per l’altro, che ha come fine lo stato dell’altro.
L’amore ha un punto di partenza
che è un tesoro / un movimento, che è un mezzo, che è la realtà di
uscire / di andare, e un fine: il risultato di quello che l’altro avrà
alla fine.
Che cos’è questo tesoro / questo
molto che dobbiamo far passare da noi all’altro?
Tornando al termine ebraico, questo
molto da qualcuno a qualcun altro per cercare di farlo star bene, cerca di
tradurre il verbo bh]a; (’aµàv),che
in ebraico, sentite come suona (aµàv):
c’è tutta una serie di suoni che richiedono di respirare. Sono tutti respiri (’aµàv).
È il respiro. Mi si permetta di fare subito il salto al
bersaglio:
“Gesù
emesso un alto grido, spirò” (Mt 27,50).
Respirare, cioè emettere l’aria.
Noi abbiamo, nell’antropologia
biblica questa idea: che è lo Spirito che dà la vita. C’è il soffiare nelle
narici dell’uomo lo spirito che fa di questo uomo un essere vivente.
Ed ecco che abbiamo qui il ritorno:
Dio dà la vita respirando nelle narici dell’uomo (dando il regalo del suo
segreto, del suo respiro / alito) ed ecco che
l’uomo in Cristo scopre
cos’è l’amore: ridare indietro lo spirito.
Dare qualcosa che è la vita. ’emettere lo spirito (’aµàv),
amare, svuotarsi e regalare lo S/spirito.
Cristo morendo regala la sua vita.
L’amore è, secondo questa analisi terminologica, frutto veramente dello
Spirito, risposta allo Spirito, è un tesoro di cui uno si svuota, che dà per
avere un risultato nell’altro / per il bene dell’altro / per far star bene
l’altro.
L’amore è, logicamente, centrato sulla relazione / sul risultato del
bene altrui. L’amore ha un parametro: ciò che è bene per l’altro,
per cui l’amore potrà significare tante cose: può significare anche,
quando è necessario, un atto di serietà, un atto austero di chiarezza. Per
amore si può essere sia teneri che duri. Per amore si può essere sia pazienti
che capaci di chiedere subito il risultato / di avere impellenza nel portare
l’altro al bene in cui deve arrivare. L’amore può portare a tacere e può
portare a parlare. L’amore può portare a tutti gli atti.
Il problema è il bene dell’altro, ma molto da me verso di te cos’è? Questo
molto cos’è? Cosa ho da dare io?
È qui il punto più importante dell’amore come frutto dello Spirito.
Cos’è l’amore?
1Gv: In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare, ma lui ci ha
amati per primo.
L’amore è avere un tesoro da dare, da effondere, da espirare, da
emettere verso l’altro, perché lo abbiamo ricevuto.
Cos’è questo amore?
Chi è che non ha amore?
Chi non ha sperimentato, non ha ricevuto, non ha ricevuto, non ha
tesaurizzato, non ha capito, non ha percepito l’amore di Dio.
L’amore parte dalla relazione con Dio. l’amore parte dal soffio di Dio,
che emette nelle nostre narici amandoci, perdonandoci, usandoci misericordia,
pazienza, … mette nel nostro cuore il tesoro della vita, e noi possiamo
finalmente dare la vita.
L’amore è frutto della relazione con lo Spirito Santo / frutto della
verità che è la paternità di Dio / la salvezza di Cristo / la potenza dello
Spirito Santo che entrano in noi e ci danno la gioia, la felicità, la bellezza,
la pienezza di essere stati amati senza condizioni (per primi, senza merito,
prima della nostra risposta, prima delle nostre opere) e allora possiamo amare
secondo questa qualità, la qualità che si è mostrata nella croce di nostro
Signore Gesù Cristo.
Quando ha emesso il respiro ci ha regalato l’ultima cosa che ancora gli
era rimasta e che aveva da darci: l’aria che aveva nei polmoni, la sua vita, la
sua esistenza.
Ricevere questa esistenza, ricevere questo amore: questo dà questo
tesoro. Poi allora si può iniziare a dare.
L’amore parte dall’essere amati da Dio.
Frutto dello Spirito è l’amore. Lo Spirito va ricevuto per poter
arrivare all’amore.
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