6. La Pazienza


Arriviamo a questo frutto dopo amore, gioia e pace. Stiamo facendo il cammino a ritroso in un crescendo. Abbiamo parlato del dominio di sé, ma la pazienza ha qualcosa un po’ più grande.

La parola pazienza è collegata alla parola patire, soffrire.
Il testo greco usa il termine makroqumi,a:
makro = grosso
qumi,a è collegata al termine qumo,j: l’animo, la parte interiore dell’uomo, la sorgente del proprio essere. Non in un senso troppo spirituale, ma in un senso esistenziale elementare, cioè io ho un animo. Noi dicendo anima diciamo qualcosa di molto più spirituale, se diciamo animo diciamo qualcosa di molto più elementare.
Mal-animo o magn-animo (makroqumi,a): ecco cosa esattamente vuol dire la nostra parola.
Questa è la prima caratteristica dell’amore nel celeberrimo inno alla carità di San Paolo (1Cor 13).

La pazienza è dunque correlata alla magnanimità.

Cosa vuol dire essere magnanimi?
Cosa vuol dire avere un animo grande?
I sinonimi di magnanimità sono longanimità (lunghezza d’animo) mansuetudine, calma, pazienza, tolleranza, generosità, nobiltà.
Vediamo un momento questi aggettivi. Quando abbiamo una verifica di queste caratteristiche?
Vediamo il contrario: aggressivo, frettoloso, impaziente, intollerante, avaro, vile.
Che cosa abbiamo da trattare in questo momento?
Abbiamo delle qualità che sono di ordine stativo / interiore / personale. Per es. uno è nella gioia / pacifico / triste..: parliamo di qualcosa che riguarda la persona in se stessa. Quando invece diciamo mansueto, paziente, calmo, tollerante stiamo parlando di qualcosa che è nella relazione, in relazione all’altro. Non abbiamo nessun tollerante se non c’è qualcosa da tollerare, non abbiamo nessun generoso se … qualcuno / qualcosa oggetto di tale generosità, non abbiamo nobiltà se non nella manifestazione esterna rispetto a qualcuno. Cioè c’è un riscontro rispetto a qualcun altro.

Cioè abbiamo a che fare con un frutto dello Spirito, che è la grandezza della propria anima, la capacità di fare che cosa? La magnanimità è la capacità di dare all’altro il tempo, di dare all’altro spazio, di dare all’altro possibilità.
Vediamo la mansuetudine quando vediamo qualcuno che non reagisce alla violenza, vediamo la calma quando vediamo che ci sarebbe da avere ansia/fretta, vediamo la tolleranza di fronte a qualcosa di discutibile nell’altro.

La magnanimità è una qualità interiore che non si verifica in una situazione di autoverifica, ma è una capacità di avere pazienza di fronte agli errori altrui, è l’atto per cui una persona da al prossimo la possibilità di riprendersi, di pentirsi, di ravvedersi, di tornare in se stesso, di calmarsi.

Dove si può prendere la forza per dare all’altro il diritto di sbagliare?
Come al solito dobbiamo andare a Dio. Cristo dice: “lo Spirito Santo vi annuncerà ciò che è mio”. Che cos’è di Cristo? Che cos’è di Dio? Nell’AT è interessante notare che la magnanimità è una delle qualità di Dio che Dio si riconosce da se stesso: in Es 34 Dio proclama il suo nome e si proclama lento all’ira. Questo è il termine che poi viene tradotto in greco con makroqumi,a (magnanimità). Dio ha un’ira lenta, ha un’ira pigra; l’ira non gli parte facilmente. 2Pt: “Dio non ritarda ad adempiere la sua promessa come certuni credono, ma usa pazienza verso di voi non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi”.
Dio è colui che “non ci tratta secondo i nostri peccati, ma è lento all’ira, ricco di misericordia e di grazia”.

Perché Dio ci da tempo di pentirci?
Perché vuole darci a tutti la possibilità di ravvederci?
Perché davanti a noi è paziente?
Perché lui tempo ne ha tanto!
Perché per lui il tempo è una creatura.
Perché lui non guarda il tempo come un assoluto. Lui guarda a noi.
Perché noi non abbiamo pazienza col nostro prossimo?
Perché per noi il tempo finisce.
Non possiamo dare tanto tempo perché no ne abbiamo.
Perchè se anche io accetto che tu possa in futuro ravvederti, io non ho tutto questo futuro da gestire.
Perché io non credo nell’eternità. Non sono dalla parte di Dio. Inizio ad essere schiavo del tempo. Ho un animo piccolo, schiacciato dalle mie ansie. Io devo farti cambiare subito. E allora le persone sono impazienti, premono, spingono, opprimono gli altri quando sono deboli, fragili.
Perché se ti do il mio tempo io non ho altro in cambio. È interessante che nel libro dell’Ap colui che ha ansia, colui che è l’infuriato, l’impaziente è il maligno (perché non ha tempo): “è pieno di furore sapendo che gli resta poco tempo”: è la definizione che abbiamo in Ap 12.

La pazienza di Dio è la sua eternità, è il fatto che per lui non conta quando le fai le cose e il fatto che ti debba dare un’altra opportunità, perché quello che gli interressa sei tu. Quello che gli sta a cuore è l’uomo, è la sua salvezza.
Tante volte le nostre valutazioni sono discutibili o completamente sbagliate per il fatto che siamo condizionati da questa creatura di Dio che è il tempo, a cui diamo troppa importanza.
Davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come iol giorno di ieri che è passato.
Dio è magnanimo perché Dio ha una relazione non ansiosa con ognuno di noi, ma nella completa verità.

Il tempo è una creatura di Dio, noi invece viviamo nel tempo. Per poter essere magnanimi dobbiamo prescindere da questo?
Per poter dare il tempo agli altri bisogna finalmente possederlo. Per dare abbondanza agli altri bisogna avere abbondanza dentro di se.

Vediamo come questa makroqumi,a possa diventare una nostra qualità? Come possiamo riceverla?
Il passaggio tutto sommato è abbastanza semplice. L’unica possibilità che abbiamo di poter esercitare questa magnanimità verso gli altri è proprio nella logica dei frutti dello Spirito: si tratta di capitalizzare quella che noi riceviamo, si tratta di mettere dentro di noi, di appropriarci della misericordia e pazienza che Dio usa nei nostri confronti.

Noi siamo pazienti col prossimo quando abbiamo ben presente tutto quello che Dio ci ha perdonato, tutta la pazienza che Dio esercita verso di noi.
Dovremmo sempre aver chiaro che Dio non ci sta trattando secondo i nostri peccati / secondo quello che meritiamo.
Molta gente si lamenta, dalla mattina alla sera passa il conto, fa rimostranze e non si ricorda, non pensa al fatto che Dio non ci sta trattando secondo quanto ci meritiamo.
Se questo mondo fosse retto dalla giustizia, se questo mondo fosse in mano a un Dio che vuole fare i conti con noi e che a un certo punto smette di darci altre possibilità nessuno di noi si salverebbe.
Dio non ci tratta secondo i nostri peccati. Agli altri possiamo apparire buonini, carini, credibili, commestibili, ma Dio conosce da quale razza di scaturigini vengono i nostri atti o le nostre omissioni / che razza di cuore sporco possiamo avere / quale quantità di cose Lui aggiusta. Quante cose copre e non svela. Nessun uomo in questo mondo si è mai visto svergognato fino infondo, neanche le persone che sono state esecrate nella storia. Dio è nostro Padre: un padre un figlio lo protegge.
Noi crediamo che Dio sia lontano da noi, ma c’è un’assenza di iniziativa di Dio nei nostri confronti che grida la sua pazienza, è un Dio che ci guarda con un occhio benevolo molto al di là della nostra apparenza e di quello che noi vendiamo, del fumo che commerciamo gli uni con gli altri.

C’è da capitalizzare questa pazienza di Dio / il fatto che non possiamo passare il conto agli altri, perché se Dio passasse il conto a me io non mi potrei salvare.
E mi conviene ricordare quella parola terribile del Vangelo che dice che con la misura con cui noi misuriamo sarà misurato a noi in cambio. Bisogna stare un po’ attenti a dire: Basta non ti do più una possibilità, perché un giorno servirà sicuramente anche a me di avere un’altra possibilità.
Qui c’è un assegno in bianco che Dio firma a tutti noi e che chiede a tutti noi di guardarci dalla tentazione di chiudere i conti, di pretendere che le cose ci tornino.

La makroqumi,a dell’uomo deriva dalla makroqumi,a di Dio. non è una bontà dell’uomo, non è una capacità, un’attitudine, ma è una memoria, è un atto di coscienza costante per cui uno come San Paolo, che di natura era un iroso / un ribollente / un violento come lui stesso diceva, diventa magnanimo, diventa paziente, da un’altra possibilità perché vive in questa seconda possibilità. Noi tutti viviamo in questa seconda possibilità che Dio ci ha dato, seconda, terza, millesima.

La Chiesa vive di misericordia, si regge sulla misericordia. Ma il mondo intero si regge sulla misericordia, su questa scandalosa capacità di Dio che ha mostrato nel suo Figlio sulla croce di perdonarci mentre lo ammazziamo, di dire: “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”. E veramente noi tante volte non sappiamo quello che facciamo. E ci scriviamo da noi stessi certificati di buona condotta per sopravvivere alla nostra coscienza. E non ci rendiamo conto che invece dovremmo stare davanti a Dio come siamo, cioè da debitori (come il Padre nostro ci insegna), non da creditori, come tanti brontoloni su questa terra, in cui ci prendiamo il  ruolo di creditori.
Ma nei confronti della vita nessuno di noi è creditore, siamo debitori con la vita, con Dio.

Da questa memoria nasce la dolcezza con il prossimo, il guardare con un altro sguardo.

Qual è l’attitudine del magnanimo?
Sapere che c’è Dio / che Dio opera.
E l’errore, la menzogna non è per condannare, ma per sapere che prima o poi la verità ti verrà addosso, che i nodi vengono al pettine, che non la passerai liscia davanti alla tua coscienza. Sapendo che facendo il male soffrirai (certo, oltre che far soffrire). Dio è il giudice, lasciamo a lui questo ruolo, perché noi saremmo dei giudici massacranti o assolutamente inconsistenti.
C’è Dio che ci da la possibilità di vivere con un senso del tempo che è un senso ampio, non ansioso, che è sapiente: Dio sa dove portarmi, Dio sa quello che sta facendo / sa anche come correggere le cose e le persone: i fatti tante volte sono correzioni molto serie. Dio sa come raddrizzare la nostra anima. Questo naturalmente non ci toglie il dovere di correggerci gli uni gli altri. Questo non ci toglie la necessità e il dovere di esercitare uno zelo, ma chi esercita questo zelo, la correzione, chi porta avanti il gridare la verità, il dire la verità davanti agli altri deve farlo con un animo inondato di pace, mentre c’è chi lo fa solamente per rabbia, per farsi tornare i conti. Questa seconda non è makroqumi,a,non è magnanimità.

Il magnanimo non è dunque l’indifferente, il magnanimo sa dire la verità, ma lo fa inondato di pace.
È una questione di efficacia: quando io debbo dire qualcosa a qualcuno per chè è mio dovere essere sentinella dell’altro (e che l’altro sia sentinella nei miei confronti).
Se il mio animo non è magnanimo, ma è pusillanime io mi sono attaccato a qualcosa e mi sono arrabbiato e sto facendo giustizia, l’altro lo sente e non c’è alcun effetto positivo, l’altro sente solamente l’aggressione, l’argomento diventa zero e c’è solamente la rivalità e l’aggressione.

È natura di un rimprovero efficace quello di essere magnanimo. Cioè questa attitudine non è che dice di non correggere il prossimo, è proprio l’unica attitudine che ci fa correggere bene il prossimo.
Quando mi avvicino ad una persona e la correggo con il senso della misericordia, con tutto il senso della serietà e della cura dell’altro, l’altro mi ascolta.

C’è una musica nelle nostre parole, che è la musica dell’amore per lui, che l’altro percepisce sempre. È il linguaggio della Pentecoste e l’altro lo percepisce.

Ho potuto apprezzare chi mi ha corretto per amore / per magnanimità. Magari non subito l’ho capito, qualche volta è stato difficile, ma la correzione che nasce dall’amore fa sempre un gran bene in chi la riceve.

La magnanimità non è quella che porta a non dire niente, al contrario porta proprio a dire, perché l’altro è il mio fratello, è prezioso, non lo posso perdere.
Che possiamo essere gli uni per gli altri sentinelle amorevoli.

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