Il rito della
Confermazione conferisce il dono dello Spirito Santo a un battezzato.
Stiamo cercando
di parlare dello Spirito Santo e di quello che compie nell’uomo.
È un dono che
lo Spirito Santo ci fa. E curiosamente coincide con una delle quattro virtù
cardinali. Le virtù cardinali sono virtù naturali, così le definisce San
Tommaso. Per cui dobbiamo distinguere la Fortezza
virtù cardinale dalla Fortezza dono
dello Spirito Santo.
La
Fortezza dono dello Spirito Santo è
un abito soprannaturale, che, secondo
la definizione scolastica,
irrobustisce l’anima affinché pratichi per istinto dello Spirito Santo ogni
specie di virtù eroica, con l’invincibile fiducia di superare i maggiori
pericoli o difficoltà
Mentre la
fortezza naturale è un’attitudine di coraggio riscontrabile nell’uomo in ambiti
molto disparati. C’è Fortezza anche nella ricerca di uno scopo malvagio. Ci può
essere fortezza, tenacia, anche nel perseguire uno scopo discutibile.
Forse in tanti
casi sarebbe meglio che gli uomini avessero meno fortezza. Gli uomini sono
molto bravi, molto tenaci a fare tante cose, che forse dovrebbero poter fare
con meno efficacia.
Com’è che si riconosce la
fortezza in un uomo?
Quand’è che uno
è forte? Non è che uno è forte quando in una situazione neutra mostra la sua
forza. Si può vedere che è forte quando si trova di fronte ad una opposizione,
ad una difficoltà.
L’ambito di
questo dono sono le difficoltà, i problemi. Le cose che ci mettono in
pericolo, che mettono in difficoltà la nostra integrità, la nostra esistenza.
La Fortezza è
la possibilità di dare una risposta di fronte ai problemi della vita. Risposta
che è possibile dare grazie a un dono che ci è dato da Dio. Lo Spirito Santo
rende l’uomo capace di affrontare i problemi, per cui rende l’uomo capace di
affrontare fondamentalmente l’evento della croce / l’evento della delusione,
della sofferenza, i problemi della vita, le cose che ci angustiano, ci
minacciano.
Abito
soprannaturale, cioè è un abito, un’abitudine che viene da Dio e che
irrobustisce l’anima affinché pratichi per istinto dello Spirito Santo ogni
specie di virtù eroica.
Qui si parla di
eroismo. Ma perché, c’è bisogno di eroismo nella vita? Rispondiamo a
questa domanda rovesciandola: Si può concepire una vita senza eroismo? Si può
concepire un matrimonio senza almeno un po’ di eroismo? Si può concepire
un’amicizia senza eroismo? Si può concepire lo svolgimento di una bella
attività senza l’eroismo?
L’eroismo è una
cosa bella. Non dobbiamo confonderlo con un modo narcisistico di porsi di
fronte alla vita, per cui ci si autoafferma e autoimpone per il culto del
proprio ego o della propria bravura o della propria fissazione, o per la
ricerca di obiettivi idolatrici o peccaminosi per cui si è disposti anche a
grandi rinunce, a grande pazienza e a grandi lotte.
Stiamo parlando
di un eroismo più alto. Per entrare in una vita che sia bella c’è bisogno di
uscire da un recinto: il recinto del prevedibile, il recinto del dovuto, il
recinto di ciò che è erogatorio. Bisogna entrare nel campo del
super-erogatorio, che è il campo proprio dell’amore. L’amore è l’atto di donare
più di quanto è dovuto. L’amore è un atto eroico.
Per avere
questo eroismo abbiamo bisogno di avere l’invincibile fiducia di superare i
maggiori pericoli o difficoltà.
Qui si parla di
una fiducia che viene da Dio. Fondamentalmente la nostra vita o è una cosa che
deve rispondere alle nostre aspettative o è un disegno provvidenziale.
C’è un salto
qualità quando una persona percepisce le difficoltà che gli capitano come
un’occasione di amare, come un luogo di crescita / un luogo dove farsi forti,
perché Dio sta conducendo la sua vita.
La fortezza, il
coraggio che viene dallo Spirito Santo, implica un’intuizione della bontà di
Dio che si sta manifestando dove adesso non capisco, ma so che quella
situazione è nelle mani di Dio.
La croce, la
difficoltà, la sofferenza come luoghi in cui fidarsi di Dio. Non semplicemente
luoghi in cui cercare di non soccombere per cui reagire. Luoghi in cui amare
Dio, ringraziarlo, entrare in rapporto con Lui. Attraverso le nostri croci
entrare in rapporto col Signore nostro Gesù Cristo.
Nelle
difficoltà sapere che quello è il momento in cui fidarsi di lui, quello è il
momento in cui fare il salto di qualità. La Fortezza è l’eroismo di chi si fida
di Dio / l’eroismo di chi fa una cosa, non per calcoli umani e politici, non
perché così gli conviene, ma fa una cosa perché si sta abbandonando nelle mani
di Dio.
Non è agli
uomini o alle nostre aspettative che dobbiamo rispondere della nostra vita, ma
un Dio che ci sta chiamando, che sta guidando la nostra vita secondo un suo
disegno, verso il cielo.
Credere al cielo
nel momento della difficoltà, credere al buono scopo della nostra vita, credere
alla buona finalità di ciò che sta succedendo, persino dell’assurdo, di ciò che
non è spiegabile e non ha senso.
Credere
all’esito buono del nostro viaggio, alla buona meta verso cui Dio ci sta
conducendo. Questo ci rende forti di fronte alle difficoltà.
Le difficoltà
nella nostra vita sono luoghi di crescita e di amore. Possiamo continuare ad
amare, possiamo continuare a donarci, possiamo continuare a sostenere gli
altri, possiamo continuare a promuovere la vita altrui.
Le difficoltà
sono situazioni in cui ci vien chiesto di abbandonare di buon grado i nostri
idoli e di attaccarci al Dio Unico, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
La fortezza ci
consente di fare questo salto di sapienza, di passare dalla teoria
all’esperienza incarnata / di far diventare vero ciò che pensiamo o diciamo di
credere, di fare atti di vita eterna, di entrare nella volontà di Dio.
Vediamo le
croci, le difficoltà, gli impedimenti, come luoghi in cui entrare in relazione
con Dio, in cui coinvolgerci veramente con Lui, in cui crescere verso di Lui.
Questo dono è
da distinguere nettamente da una serie di qualità, che sono buone, ma che sono
diverse da questo dono dello Spirito Santo.
Tutti quanti
siamo stati contenti da bambini quando ci hanno detto che eravamo intelligenti.
Qualche volte gli insegnanti hanno detto di noi: è intelligente però non si
applica.
Essere
intelligenti ci piace tanto.
Ma l’intelletto
di cui si parla qui è qualcos’altro.
Cos’è
l’intelligenza secondo lo Spirito Santo? È una qualità relazionale. Cioè
dà la capacità di cogliere qualcosa che è, non in me ma nell’altro, fuori di
me.
Infatti l’intus legere dell’intelletto o
anche, secondo come altri intendono la parola, l’intus legare, è comunque un legame colto dentro alle cose
o è qualcosa di letto dentro alle cose.
La sua
qualità è cogliere una verità nascosta nelle cose.
San Filippo
Neri, nella visita delle Sette Chiese, collega i sette doni dello Spirito Santo
e le Virtù e le attitudini cristiane. Il dono dell’Intelletto lo collega giustissimamente alla carità fraterna.
Perché?
Quanto ci
piace quando le persone ci capiscono! Quanto è bello quando qualcuno ti sa
leggere dentro, ti sa dare un consiglio per il tuo bene. Ti sa invitare a un
atto di libertà. Ti sa sciogliere da un senso di oppressione.
Purtroppo tante
volte questo qualcuno non può essere chi vive con te. Perché se chi vive con te
è occupato e preoccupato dei propri idoli, se dovesse indicarti come
soluzione qualcosa che va contro i suoi idoli, stai sicuro che prima vengono i
suoi idoli e dopo vieni tu. Come può consigliarti di fare una spesa chi è
attaccato al denaro? Se è proprio lui che dovrà veder diminuire il denaro della
vostra famiglia o comunità? Siamo intelligenti, ma tante volte la nostra
intelligenza sembra non capire le cose che ci riguardano da vicino, mentre vede
in maniera chiara le cose e le soluzioni per ciò che è fuori da casa propria.
Se poi l’altro
è in contesa con te, che parola giusta ti può dare. Con-tendere, cioè tendere alla stessa cosa. Vi dovete dividere le
proprietà che vi ha lasciato vostro padre. Tuo fratello è capace di dirti ciò
che ti spetta veramente? Quando c’è un interesse sei sicuro di ragionare
proprio oggettivamente? Di fronte all’eredità i fratelli si ammazzano, non si
guardano più in faccia per la vita.
E da questo non
è esente nessuno. Neanche i preti o i religiosi. Magari uno fa una bella
predica sul perdono, e poi per sciocchezze rompe la relazione coi suoi
confratelli. “Io da quello non ci vado”.
L’Intelletto è quel dono che ti aiuta a
guardare l’altro non come uno strumento per te, ma come uno strumento per sé e
lo guarda in sé. L’altro non come fine a te, ma come fine a se stesso.
È questa bella
capacità per cui le cose vengono guardate non come strumentali alla nostra
realizzazione, ma per la loro verità.
È
un abito soprannaturale, dice la Scolastica,
infuso con lo Spirito Santo, per cui l’intelligenza dell’uomo sotto l’illuminazione
dello Spirito Santo è capace di intuire le verità rivelate, speculative e
pratiche, anche le naturali, in ordine al fine soprannaturale.
È il fine
profondo e bello di tutte le cose. E per questo questo dono è necessario per
l’amore.
È necessario
per il discernimento, per saper fare le cose giuste con gli altri. Saper
trattare gli altri con carità. Implica l’intuizione di chi sono loro veramente.
Implica un saper leggere dentro ad ogni persona e dentro ad ogni fatto, ciò che
è donato da Dio.
È una capacità
di andare oltre l’apparente, di non arrestarsi nella propria comprensione, di
non distorcere la verità dell’altro a causa dei propri interessi, i quali
[interessi] subentrano sempre come chiave interpretativa, i quali fanno parte
di quegli elementi che utilizziamo nella valutazione di ogni cosa. Infatti per
fare discernimento occorre sempre conoscere bene se stessi.
L’Intelletto permette di cogliere la
bellezza dell’altro e capirlo in relazione a sé e non in relazione a me, per le
sue dinamiche.
È interessante che l’Intelletto si oppone al vizio
dell’invidia.
L’intus legere contro l’invidere, cioè gaurdare l’altro con
opposizione, guardare l’altro come un rivale. Se guardi l’altro con invidia non
puoi vederlo per quello che è.
L’intelletto invece mi fa guardare l’altro
come qualcosa di importante, non minacciosa per me, e in sé dotata come di
qualcosa di soprannaturale. Per cui lo posso accogliere e lo posso anche
comprendere.
È un’esperienza
tipica nell’esercizio della guida
spirituale,che quando si ha un giudizio o un rifiuto dell’altro, non si ha
neanche luce sull’altro, si ha cecità su quello che l’altro è e su ciò di cui
ha bisogno.
È solo
dall’amore che viene la comprensione vera dell’altro.
La comprensione
vera dell’altro porta all’amore e l’amore porta alla comprensione vera
dell’altro.
È solo l’amore
che ci fa comprendere la vita nei suoi legami più profondi, nei suoi misteri
nascosti.
Allora, il dono
dell’Intelletto è un dono dello
Spirito Santo, che ci permette di percepire la bellezza delle cose, la loro
importanza e il loro fine soprannaturale.
È da questo che
viene il rispetto profondo dell’altro, e anche la delicatezza della relazione
che abbiamo con lui, perché viene l’intuizione della preziosità dell’altro.
Il dono dell’Intelletto è veramente importante per
amare.
Per fare l’atto
più importante della nostra vita, che è l’amore, abbiamo bisogno di intelletto; abbiamo bisogno di ascoltare
quelle intuizioni che lo Spirito Santo ci dà dell’altro e delle cose che ci
circondano.
Abbiamo parlato
di Santo Timor di Dio, di Pietà, di Scienza, di Consiglio, Fortezza, di Intelletto.
Possiamo
descrivere un uomo che ha questi doni: è un uomo che ha il senso dei propri
limiti, che conosce i pericoli che corre la propria anima (timor di Dio); è un
uomo che ha la gratitudine e la tenerezza, ha memoria buona, ha una dolcezza
che gli viene dal sentirsi grato (pietà); è un uomo che sa legarsi alle cose ed
entrare in relazione con esse secondo verità, sa conoscere le cose (scienza); è
un uomo che sa rinunciare (ha il dono del consiglio); è un uomo che ha capacità
di sapersi dire quei no di cui ha bisogno per sapersi dire in maniera autentica
e robusta quei sì che deve dire; è un uomo che sa affrontare le difficoltà (la
fortezza), è un uomo che sa cogliere nelle cose il piano di Dio buono; ed è un
uomo che sa comprendere l’altro, sa rispettarlo per quello che è, sa cercare il
suo bene (ha il dono dell’intelletto) e conosce il mondo e ne intuisce il fine
soprannaturale.
Bene, questo
uomo che sa accettare i suoi limiti, questo uomo tenero e grato, questo uomo
che sa entrare in relazione con le cose, questo uomo che sa rinunciare, questo
uomo che sa essere forte di fronte ai problemi, questo uomo che ti sa capire …
che uomo meraviglioso!
Questo uomo che
cosa ha per avere tutte queste cose insieme?
Si possono dire
tutte queste cose insieme con una sola parola? Si possono avere con una sola
attitudine?
L’attitudine
della sapienza le contiene tutte.
Del dono della Sapienza capiamo qualcosa se ci
chiediamo gli altri sei doni cosa richiedono.
Che cosa
richiede il senso del proprio limite? Cosa richiede la gratitudine? Cosa
richiede la relazione autentica con l’altro? Che cosa richiede lo spirito di
rinuncia? Che cosa richiede il fidarsi di Dio nella prova? Che cosa richiede
l’attenzione autentica all’altro?
Richiedono
umiltà. Richiedono senso della propria piccolezza. Un felice senso di noi
stessi che ci dà di percepirci piccoli come siamo.
Cioè una verità
su noi stessi, secondo un parametro che ci ha relativizzati, in senso ottimo,
costruttivo.
Ma questo
parametro è il rapporto con Dio. L’umiltà è il sapere la verità. Umiltà,
da humus che vuoldire terra, à
la realtà immediatamente più disponibile, secondo la creazione che viene
descritta in Gen, per cui l’uomo è fatto di terra (è la sua natura, la sua
verità).
Vuoldire
conoscersi, ma conoscerci di fronte a qualcuno che ci ha insegnato a
conoscerci. E conoscere soprattutto Lui. L’umiltà è sapere una cosa, sapere
fondamentalmente chi siamo noi,
e ancor di più sapere Chi è Dio.
Cosa è la Sapienza?
In ebraico µokmâh è un
termine importantissimo.
La Sapienza implica la cognizione di un
dato. Uno dei Dizionari etimologici definisce così la Sapienza:
“Una
realtà che rende possibili altre attività e la cui essenza fa sì che anche le
altre realtà vengano a mancare”
Questa è la
realtà che rende possibili le altre attività. Se manca questa attitudine le
altre non sono possibili.
Cosa deve sapere il sapiente?
Comunemente si
intende per sapienza l’erudizione.
Si pensa che sapiente è l’uomo che ha a disposizione tanti dati, che conosce
tante cose, che è molto informato, molto preparato, che sa parlare delle cose,
avere tanta cultura.
Questa sapienza
può essere piuttosto futile, perché bisogna vedere chi è il cocchiere di questo
carro. Perché se il cocchiere di questo carro di nozioni è l’egoismo, queste
nozioni sono dannosissime.
Se il cocchiere
è un infantile egocentrico, ciò che si sa come viene utilizzato?
Ma se il
cocchiere di queste conoscenze è l’umiltà allora queste conoscenze saranno
tutte messe al servizio.
C’è una cosa
che noi dobbiamo sapere:
dobbiamo
sapere chi è Dio.
Questo sa il
sapiente.
Che cosa ha rubato il serpente ad
Adamo ed Eva nel racconto di Gen3?
Gli ha rubato
l’intuizione di Dio. Gli ha tolto dal cuore l’idea che Dio fosse buono ed
affidabile.
Quando dal
cuore dell’uomo viene tolta questa intuizione, ecco che l’uomo si ritrova in un
universo triste, rabbioso, in cui si deve difendere / in un universo vergognoso
in cui ci si trova imbarazzati persino di fronte a se stessi, per cui bisogna
coprirsi, perché non si veda ciò che si è.
Si perde
l’intuizione di Dio, quindi si perde l’intuizione di sé.
Chi sono io?
Chi me lo dice chi sono io?
Io me lo lascio
dire da cose che sono più piccole di me.
Io chi sono?
C’è una cosa che io devo sapere; che se non la so niente so. Io devo sapere
dell’amore di Dio. L’amore di Dio per me mi insegna chi sono io.
Si dice che
Francesco d’Assisi, nel periodo in cui maturava la sua chiamata, nel tempo in
cui pregava nel luogo delle Carceri di
Assisi, ripetesse questa preghiera: “Signore Dio. Chi sei tu, chi sono io?”. È
la preghiera del sapiente.
L’unica cosa
che dobbiamo sapere: Dobbiamo sapere chi siamo noi davanti a Dio e chi è Dio
davanti a noi. Chi sono io per Dio e chi è Dio per me. Fondamentalmente questo
ho bisogno di sapere. Da questo deriva tutto il resto.
Altrimenti
sappiamo tante cose ma siamo insipienti, stolti, sciuponi di vita.
Cosa è la Sapienza? Sapere quanto Dio ci ama.
Per questa
sapienza Cristo si è incarnato. Per donarci di conoscere il Padre. “Dio nessuno
lo ha mai visto. Proprio il Figlio Unigenito Lui lo ha rivelato”.
Perché il
Signore Gesù Cristo muore sulla croce? Per rivelarci il volto del Padre che era
stato tolto dal nostro cuore. Perché noi infondo dubitiamo di Dio. Non sappiamo
di Lui. Siamo ignoranti di Lui.
La
Sapienza è un tipo di attività che
rende possibili le altre attività, la cui essenza fa sì che anche le altre
realtà vengano a mancare
Se non ho
questa sapienza nulla mi giova. Se
non ho questa sapienza nulla mi serve
e nulla va al suo gool, al suo fine proprio, al suo scopo buono.
Il dono della sapienza contiene gli altri doni e informa di sé gli
altri doni, ed è il dono dell’intuizione di Dio.
Dall’intuizione
di Dio deriva il senso del pericolo di perdere il rapporto con Dio, e
l’illuminazione di tutto ciò che di noi è estraneo a questo rapporto.
Dall’intuizione
di Dio viene la gratitudine verso di Lui.
Dall’intuizione
di Dio viene il senso della profondità delle cose.
Dall’intuizione
di Dio viene la capacità di rinuncia.
Dall’intuizione
di Dio viene la fiducia nei problemi, perché sappiamo che Dio non ci abbandona.
Dall’intuizione
di Dio viene il senso della preziosità dell’altro.
Nessun commento:
Posta un commento