3. Fortezza, Intelletto e Sapienza



Il rito della Confermazione conferisce il dono dello Spirito Santo a un battezzato.
Stiamo cercando di parlare dello Spirito Santo e di quello che compie nell’uomo.


Fortezza

È un dono che lo Spirito Santo ci fa. E curiosamente coincide con una delle quattro virtù cardinali. Le virtù cardinali sono virtù naturali, così le definisce San Tommaso. Per cui dobbiamo distinguere la Fortezza virtù cardinale dalla Fortezza dono dello Spirito Santo.

La Fortezza dono dello Spirito Santo è un abito soprannaturale, che, secondo la definizione scolastica, irrobustisce l’anima affinché pratichi per istinto dello Spirito Santo ogni specie di virtù eroica, con l’invincibile fiducia di superare i maggiori pericoli o difficoltà

Mentre la fortezza naturale è un’attitudine di coraggio riscontrabile nell’uomo in ambiti molto disparati. C’è Fortezza anche nella ricerca di uno scopo malvagio. Ci può essere fortezza, tenacia, anche nel perseguire uno scopo discutibile.
Forse in tanti casi sarebbe meglio che gli uomini avessero meno fortezza. Gli uomini sono molto bravi, molto tenaci a fare tante cose, che forse dovrebbero poter fare con meno efficacia.

Com’è che si riconosce la fortezza in un uomo?
Quand’è che uno è forte? Non è che uno è forte quando in una situazione neutra mostra la sua forza. Si può vedere che è forte quando si trova di fronte ad una opposizione, ad una difficoltà.
L’ambito di questo dono sono le difficoltà, i problemi. Le cose che ci mettono in pericolo, che mettono in difficoltà la nostra integrità, la nostra esistenza.

La Fortezza è la possibilità di dare una risposta di fronte ai problemi della vita. Risposta che è possibile dare grazie a un dono che ci è dato da Dio. Lo Spirito Santo rende l’uomo capace di affrontare i problemi, per cui rende l’uomo capace di affrontare fondamentalmente l’evento della croce / l’evento della delusione, della sofferenza, i problemi della vita, le cose che ci angustiano, ci minacciano.

Abito soprannaturale, cioè è un abito, un’abitudine che viene da Dio e che irrobustisce l’anima affinché pratichi per istinto dello Spirito Santo ogni specie di virtù eroica.
Qui si parla di eroismo. Ma perché, c’è bisogno di eroismo nella vita? Rispondiamo a questa domanda rovesciandola: Si può concepire una vita senza eroismo? Si può concepire un matrimonio senza almeno un po’ di eroismo? Si può concepire un’amicizia senza eroismo? Si può concepire lo svolgimento di una bella attività senza l’eroismo?
L’eroismo è una cosa bella. Non dobbiamo confonderlo con un modo narcisistico di porsi di fronte alla vita, per cui ci si autoafferma e autoimpone per il culto del proprio ego o della propria bravura o della propria fissazione, o per la ricerca di obiettivi idolatrici o peccaminosi per cui si è disposti anche a grandi rinunce, a grande pazienza e a grandi lotte.

Stiamo parlando di un eroismo più alto. Per entrare in una vita che sia bella c’è bisogno di uscire da un recinto: il recinto del prevedibile, il recinto del dovuto, il recinto di ciò che è erogatorio. Bisogna entrare nel campo del super-erogatorio, che è il campo proprio dell’amore. L’amore è l’atto di donare più di quanto è dovuto. L’amore è un atto eroico.
Per avere questo eroismo abbiamo bisogno di avere l’invincibile fiducia di superare i maggiori pericoli o difficoltà.
Qui si parla di una fiducia che viene da Dio. Fondamentalmente la nostra vita o è una cosa che deve rispondere alle nostre aspettative o è un disegno provvidenziale.
C’è un salto qualità quando una persona percepisce le difficoltà che gli capitano come un’occasione di amare, come un luogo di crescita / un luogo dove farsi forti, perché Dio sta conducendo la sua vita.
La fortezza, il coraggio che viene dallo Spirito Santo, implica un’intuizione della bontà di Dio che si sta manifestando dove adesso non capisco, ma so che quella situazione è nelle mani di Dio.
La croce, la difficoltà, la sofferenza come luoghi in cui fidarsi di Dio. Non semplicemente luoghi in cui cercare di non soccombere per cui reagire. Luoghi in cui amare Dio, ringraziarlo, entrare in rapporto con Lui. Attraverso le nostri croci entrare in rapporto col Signore nostro Gesù Cristo.
Nelle difficoltà sapere che quello è il momento in cui fidarsi di lui, quello è il momento in cui fare il salto di qualità. La Fortezza è l’eroismo di chi si fida di Dio / l’eroismo di chi fa una cosa, non per calcoli umani e politici, non perché così gli conviene, ma fa una cosa perché si sta abbandonando nelle mani di Dio.
Non è agli uomini o alle nostre aspettative che dobbiamo rispondere della nostra vita, ma un Dio che ci sta chiamando, che sta guidando la nostra vita secondo un suo disegno, verso il cielo.
Credere al cielo nel momento della difficoltà, credere al buono scopo della nostra vita, credere alla buona finalità di ciò che sta succedendo, persino dell’assurdo, di ciò che non è spiegabile e non ha senso.
Credere all’esito buono del nostro viaggio, alla buona meta verso cui Dio ci sta conducendo. Questo ci rende forti di fronte alle difficoltà.
Le difficoltà nella nostra vita sono luoghi di crescita e di amore. Possiamo continuare ad amare, possiamo continuare a donarci, possiamo continuare a sostenere gli altri, possiamo continuare a promuovere la vita altrui.
Le difficoltà sono situazioni in cui ci vien chiesto di abbandonare di buon grado i nostri idoli e di attaccarci al Dio Unico, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
La fortezza ci consente di fare questo salto di sapienza, di passare dalla teoria all’esperienza incarnata / di far diventare vero ciò che pensiamo o diciamo di credere, di fare atti di vita eterna, di entrare nella volontà di Dio.
Vediamo le croci, le difficoltà, gli impedimenti, come luoghi in cui entrare in relazione con Dio, in cui coinvolgerci veramente con Lui, in cui crescere verso di Lui.


Intelletto

Questo dono è da distinguere nettamente da una serie di qualità, che sono buone, ma che sono diverse da questo dono dello Spirito Santo.
Tutti quanti siamo stati contenti da bambini quando ci hanno detto che eravamo intelligenti. Qualche volte gli insegnanti hanno detto di noi: è intelligente però non si applica.
Essere intelligenti ci piace tanto.
Ma l’intelletto di cui si parla qui è qualcos’altro.
Cos’è l’intelligenza secondo lo Spirito Santo? È una qualità relazionale. Cioè dà la capacità di cogliere qualcosa che è, non in me ma nell’altro, fuori di me.

Infatti l’intus legere dell’intelletto o anche, secondo come altri intendono la parola, l’intus legare, è comunque un legame colto dentro alle cose o è qualcosa di letto dentro alle cose.
La sua qualità è cogliere una verità nascosta nelle cose.
San Filippo Neri, nella visita delle Sette Chiese, collega i sette doni dello Spirito Santo e le Virtù e le attitudini cristiane. Il dono dell’Intelletto lo collega giustissimamente alla carità fraterna. Perché?
Quanto ci piace quando le persone ci capiscono! Quanto è bello quando qualcuno ti sa leggere dentro, ti sa dare un consiglio per il tuo bene. Ti sa invitare a un atto di libertà. Ti sa sciogliere da un senso di oppressione.
Purtroppo tante volte questo qualcuno non può essere chi vive con te. Perché se chi vive con te è occupato e preoccupato dei propri idoli, se dovesse indicarti come soluzione qualcosa che va contro i suoi idoli, stai sicuro che prima vengono i suoi idoli e dopo vieni tu. Come può consigliarti di fare una spesa chi è attaccato al denaro? Se è proprio lui che dovrà veder diminuire il denaro della vostra famiglia o comunità? Siamo intelligenti, ma tante volte la nostra intelligenza sembra non capire le cose che ci riguardano da vicino, mentre vede in maniera chiara le cose e le soluzioni per ciò che è fuori da casa propria.
Se poi l’altro è in contesa con te, che parola giusta ti può dare. Con-tendere, cioè tendere alla stessa cosa. Vi dovete dividere le proprietà che vi ha lasciato vostro padre. Tuo fratello è capace di dirti ciò che ti spetta veramente? Quando c’è un interesse sei sicuro di ragionare proprio oggettivamente? Di fronte all’eredità i fratelli si ammazzano, non si guardano più in faccia per la vita.
E da questo non è esente nessuno. Neanche i preti o i religiosi. Magari uno fa una bella predica sul perdono, e poi per sciocchezze rompe la relazione coi suoi confratelli. “Io da quello non ci vado”.

L’Intelletto è quel dono che ti aiuta a guardare l’altro non come uno strumento per te, ma come uno strumento per sé e lo guarda in sé. L’altro non come fine a te, ma come fine a se stesso.
È questa bella capacità per cui le cose vengono guardate non come strumentali alla nostra realizzazione, ma per la loro verità.

È un abito soprannaturale, dice la Scolastica, infuso con lo Spirito Santo, per cui l’intelligenza dell’uomo sotto l’illuminazione dello Spirito Santo è capace di intuire le verità rivelate, speculative e pratiche, anche le naturali, in ordine al fine soprannaturale.

È il fine profondo e bello di tutte le cose. E per questo questo dono è necessario per l’amore.
È necessario per il discernimento, per saper fare le cose giuste con gli altri. Saper trattare gli altri con carità. Implica l’intuizione di chi sono loro veramente. Implica un saper leggere dentro ad ogni persona e dentro ad ogni fatto, ciò che è donato da Dio.
È una capacità di andare oltre l’apparente, di non arrestarsi nella propria comprensione, di non distorcere la verità dell’altro a causa dei propri interessi, i quali [interessi] subentrano sempre come chiave interpretativa, i quali fanno parte di quegli elementi che utilizziamo nella valutazione di ogni cosa. Infatti per fare discernimento occorre sempre conoscere bene se stessi.
L’Intelletto permette di cogliere la bellezza dell’altro e capirlo in relazione a sé e non in relazione a me, per le sue dinamiche.

È interessante che l’Intelletto si oppone al vizio dell’invidia.
L’intus legere contro l’invidere, cioè gaurdare l’altro con opposizione, guardare l’altro come un rivale. Se guardi l’altro con invidia non puoi vederlo per quello che è.
L’intelletto invece mi fa guardare l’altro come qualcosa di importante, non minacciosa per me, e in sé dotata come di qualcosa di soprannaturale. Per cui lo posso accogliere e lo posso anche comprendere.

È un’esperienza tipica nell’esercizio della guida spirituale,che quando si ha un giudizio o un rifiuto dell’altro, non si ha neanche luce sull’altro, si ha cecità su quello che l’altro è e su ciò di cui ha bisogno.

È solo dall’amore che viene la comprensione vera dell’altro.
La comprensione vera dell’altro porta all’amore e l’amore porta alla comprensione vera dell’altro.
È solo l’amore che ci fa comprendere la vita nei suoi legami più profondi, nei suoi misteri nascosti.

Allora, il dono dell’Intelletto è un dono dello Spirito Santo, che ci permette di percepire la bellezza delle cose, la loro importanza e il loro fine soprannaturale.
È da questo che viene il rispetto profondo dell’altro, e anche la delicatezza della relazione che abbiamo con lui, perché viene l’intuizione della preziosità dell’altro.
Il dono dell’Intelletto è veramente importante per amare.
Per fare l’atto più importante della nostra vita, che è l’amore, abbiamo bisogno di intelletto; abbiamo bisogno di ascoltare quelle intuizioni che lo Spirito Santo ci dà dell’altro e delle cose che ci circondano.


Sapienza

Abbiamo parlato di Santo Timor di Dio, di Pietà, di Scienza, di Consiglio, Fortezza, di Intelletto.
Possiamo descrivere un uomo che ha questi doni: è un uomo che ha il senso dei propri limiti, che conosce i pericoli che corre la propria anima (timor di Dio); è un uomo che ha la gratitudine e la tenerezza, ha memoria buona, ha una dolcezza che gli viene dal sentirsi grato (pietà); è un uomo che sa legarsi alle cose ed entrare in relazione con esse secondo verità, sa conoscere le cose (scienza); è un uomo che sa rinunciare (ha il dono del consiglio); è un uomo che ha capacità di sapersi dire quei no di cui ha bisogno per sapersi dire in maniera autentica e robusta quei sì che deve dire; è un uomo che sa affrontare le difficoltà (la fortezza), è un uomo che sa cogliere nelle cose il piano di Dio buono; ed è un uomo che sa comprendere l’altro, sa rispettarlo per quello che è, sa cercare il suo bene (ha il dono dell’intelletto) e conosce il mondo e ne intuisce il fine soprannaturale.

Bene, questo uomo che sa accettare i suoi limiti, questo uomo tenero e grato, questo uomo che sa entrare in relazione con le cose, questo uomo che sa rinunciare, questo uomo che sa essere forte di fronte ai problemi, questo uomo che ti sa capire … che uomo meraviglioso!
Questo uomo che cosa ha per avere tutte queste cose insieme?
Si possono dire tutte queste cose insieme con una sola parola? Si possono avere con una sola attitudine?
L’attitudine della sapienza le contiene tutte.
Del dono della Sapienza capiamo qualcosa se ci chiediamo gli altri sei doni cosa richiedono.
Che cosa richiede il senso del proprio limite? Cosa richiede la gratitudine? Cosa richiede la relazione autentica con l’altro? Che cosa richiede lo spirito di rinuncia? Che cosa richiede il fidarsi di Dio nella prova? Che cosa richiede l’attenzione autentica all’altro?

Richiedono umiltà. Richiedono senso della propria piccolezza. Un felice senso di noi stessi che ci dà di percepirci piccoli come siamo.
Cioè una verità su noi stessi, secondo un parametro che ci ha relativizzati, in senso ottimo, costruttivo.
Ma questo parametro è il rapporto con Dio. L’umiltà è il sapere la verità. Umiltà, da humus che vuoldire terra, à la realtà immediatamente più disponibile, secondo la creazione che viene descritta in Gen, per cui l’uomo è fatto di terra (è la sua natura, la sua verità).
Vuoldire conoscersi, ma conoscerci di fronte a qualcuno che ci ha insegnato a conoscerci. E conoscere soprattutto Lui. L’umiltà è sapere una cosa, sapere fondamentalmente chi siamo noi, e ancor di più sapere Chi è Dio.

Cosa è la Sapienza?
In ebraico µokmâh  è un termine importantissimo.
La Sapienza implica la cognizione di un dato. Uno dei Dizionari etimologici definisce così la Sapienza:

“Una realtà che rende possibili altre attività e la cui essenza fa sì che anche le altre realtà vengano a mancare”

Questa è la realtà che rende possibili le altre attività. Se manca questa attitudine le altre non sono possibili.

Cosa deve sapere il sapiente?
Comunemente si intende per sapienza l’erudizione. Si pensa che sapiente è l’uomo che ha a disposizione tanti dati, che conosce tante cose, che è molto informato, molto preparato, che sa parlare delle cose, avere tanta cultura.
Questa sapienza può essere piuttosto futile, perché bisogna vedere chi è il cocchiere di questo carro. Perché se il cocchiere di questo carro di nozioni è l’egoismo, queste nozioni sono dannosissime.
Se il cocchiere è un infantile egocentrico, ciò che si sa come viene utilizzato?
Ma se il cocchiere di queste conoscenze è l’umiltà allora queste conoscenze saranno tutte messe al servizio.

C’è una cosa che noi dobbiamo sapere:
dobbiamo sapere chi è Dio.
Questo sa il sapiente.
Che cosa ha rubato il serpente ad Adamo ed Eva nel racconto di Gen3?
Gli ha rubato l’intuizione di Dio. Gli ha tolto dal cuore l’idea che Dio fosse buono ed affidabile.
Quando dal cuore dell’uomo viene tolta questa intuizione, ecco che l’uomo si ritrova in un universo triste, rabbioso, in cui si deve difendere / in un universo vergognoso in cui ci si trova imbarazzati persino di fronte a se stessi, per cui bisogna coprirsi, perché non si veda ciò che si è.
Si perde l’intuizione di Dio, quindi si perde l’intuizione di sé.
Chi sono io?
Chi me lo dice chi sono io?
Io me lo lascio dire da cose che sono più piccole di me.
Io chi sono? C’è una cosa che io devo sapere; che se non la so niente so. Io devo sapere dell’amore di Dio. L’amore di Dio per me mi insegna chi sono io.
Si dice che Francesco d’Assisi, nel periodo in cui maturava la sua chiamata, nel tempo in cui pregava nel luogo delle Carceri di Assisi, ripetesse questa preghiera: “Signore Dio. Chi sei tu, chi sono io?”. È la preghiera del sapiente.
L’unica cosa che dobbiamo sapere: Dobbiamo sapere chi siamo noi davanti a Dio e chi è Dio davanti a noi. Chi sono io per Dio e chi è Dio per me. Fondamentalmente questo ho bisogno di sapere. Da questo deriva tutto il resto.

Altrimenti sappiamo tante cose ma siamo insipienti, stolti, sciuponi di vita.

Cosa è la Sapienza?      Sapere quanto Dio ci ama.
Per questa sapienza Cristo si è incarnato. Per donarci di conoscere il Padre. “Dio nessuno lo ha mai visto. Proprio il Figlio Unigenito Lui lo ha rivelato”.
Perché il Signore Gesù Cristo muore sulla croce? Per rivelarci il volto del Padre che era stato tolto dal nostro cuore. Perché noi infondo dubitiamo di Dio. Non sappiamo di Lui. Siamo ignoranti di Lui.

La Sapienza è un tipo di attività che rende possibili le altre attività, la cui essenza fa sì che anche le altre realtà vengano a mancare

Se non ho questa sapienza nulla mi giova. Se non ho questa sapienza nulla mi serve e nulla va al suo gool, al suo fine proprio, al suo scopo buono.

Il dono della sapienza  contiene gli altri doni e informa di sé gli altri doni, ed è il dono dell’intuizione di Dio.

Dall’intuizione di Dio deriva il senso del pericolo di perdere il rapporto con Dio, e l’illuminazione di tutto ciò che di noi è estraneo a questo rapporto.
Dall’intuizione di Dio viene la gratitudine verso di Lui.
Dall’intuizione di Dio viene il senso della profondità delle cose.
Dall’intuizione di Dio viene la capacità di rinuncia.
Dall’intuizione di Dio viene la fiducia nei problemi, perché sappiamo che Dio non ci abbandona.
Dall’intuizione di Dio viene il senso della preziosità dell’altro.

Il dono della Sapienza non è fatto a persone particolarmente dotate intellettualmente. È donato ai semplici più facilmente che ai complicati. È donato agli ignoranti più facilmente che agli eruditi, perché gli eruditi devono tagliare molti alberi nella selva della loro 

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