eivrh,nh = pace
da cui irenico: colui che è pacifico.
Nel mondo greco indica una condizione: lo stato di pace, originariamente
inteso solo come interruzione dell’eterno stato di guerra. Mentre il latino pax
indica un rapporto giuridico reciproco, eivrh,nh
indica, all’inizio null’altro che l’opposto di pólemoj (guerra).
Cioè la pace in quanto qualcosa di opposto allo stato bellico.
La pace è lo stato che segue o che precede la guerra.
Noi abbiamo il concetto di pace anche come stato personale.: questo è
estraneo alla letteratura greca. Ci sono molte cose che nella nostra civiltà
derivano dal cristianesimo. Questa idea che la pace riguardi la persona ci
deriva proprio dalla novità cristiana, che porta nel mondo qualcosa che era già
in nuce nella cultura ebraica.
Shaloom non vuol dire
semplicemente il momento in cui è assente la guerra. È un concetto molto più ampio
ed ha anche una connotazione personale, oltre che collettiva. Andrebbe tradotto
con benessere. Dà l’idea di un’abbondanza con una preponderanza
dell’aspetto materiale: indica il buon rapporto con le cose / lo stare nelle
cose in maniera florida.
La shaloom non è peraltro
l’assenza dei conflitti, anzi addirittura nell’aspetto più primitivo dell’AT
anche una guerra ben impostata (il fatto di essere ben messi di fronte allo
schieramento nemico) è la pace di Israele.
Come siamo arrivati all’idea personale del concetto di pace?
L’AT comincia a generare l’idea che la pace è uno stato che fa
riferimento non soltanto al contesto. E qui facciamo riferimento ad una delle
principali frasi che nel NT abbiamo sul concetto di pace: il Signore Gesù ci
dice nel Vangelo di Giovanni: “Vi lascio la pace vi do la mia pace. Non come la
da il mondo io la do a voi”.
Dunque il Signore Gesù ci dice che esistono due tipi diversi di pace.
La pace che il mondo da è solamente una tregua.
La pace che il mondo da è solamente una fase di stallo prima della
prossima guerra.
Se andiamo ad esaminare la quantità di trattati di pace che si sono
susseguiti nella storia, potemmo un po’ scoraggiarci di fronte all’idea da
tutti desiderata de: la pace nel mondo.
La realtà è che il mondo da la pace solo o come la fine delle condizioni
necessarie e sufficienti per fare la guerra o come la devastazione
dell’avversario. La pace c’è quando uno dei due perde, cioè viene sterminato o
comunque sottomesso (o si arrende).
Questa è la pace che da il mondo.
Questa pace noi la conosciamo molto spesso e l’abbiamo mutuata dal
cristianesimo e mescolata in maniera indebita come idea di pace personale in un
concetto di pace molto problematico e discutibile che oggi va molto di moda.: Stare in pace. Può essere limpidamente
riconosciuto come discutibile l’atteggiamento per cui una persona dice: sto
in pace quando – non è che ho risolto i conflitti – quando mi sottraggo
ai conflitti.
La pace dopo una separazione in un matrimonio. Certo dopo la separazione
c’è la pace, ma è una pace che è la pace della morte, viene dall’uccisione di
un rapporto. Certo che i contrasti si possono risolvere così: togliamo il
problema, stronchiamo la situazione. E cioè quello che può essere considerato
come uno stato molto sereno e molto tranquillo è la necrosi di una relazione.
A volte una tale pace (finta) si può avere anche quando le persone
vivono accanto e non si sfiorano, non si toccano. Certi argomenti con me non li
devi toccare, così viviamo in pace: cioè tu non dai fastidio a me , io non do
fastidio a te. Un modo molto borghese di stare gli uni accanto agli altri.
Posso stare in pace con una persona perché mi sono riconciliato
seriamente con lei.
Posso stare in pace con una persona perché tu non mi pesti i calli a me,
i non pesto i calli a te.
Facciamo un tacito trattato di non belligeranza e viviamo un
rapporto ipocrita, dove non ci diciamo
più quello che veramente pensiamo. Questo è uno stato molto diffuso. E questo è
il sistema che molta gente persegue e magari ci mette pure qualcosa di
spirituale dentro. Non è questa la pace.
“Non come la dà il mondo io la
do a voi”
Per dire la pace che Gesù dà, la descrive per via negativa.
La pace ellenistica, prima ancora che maturi il concetto di pace come
stato personale, come stato che sorge dall’individuo e non come contesto, è
appunto la pace che dipende dalla situazione / la pace che deriva da come il
contesto si configura o meglio ancora da come glia altri si comportano. Il
mondo da pace creando un’assenza di conflitto.
Cristo non da questa pace qui e non la da in questo modo. Non la da
mediante il contesto: non è il contesto che mi da pace, non è la
situazione che mi da pace: è questa la novità.
Cristo che è la nostra pace, che non ci dice: la pace ve la darò là o
nel tal momento preciso e nella tale situazione giusta, ma: io vi darò la pace
in un altro modo: la pace di Cristo è la pace che sorge dal suo dono, sorge da
una sua maniera di essere davanti a noi, ce la dà Lui.
Es.: Mi trovo in un contesto difficile, in un contesto
conflittuale, di tensione. Se la pace me la deve dare il mondo io non troverò
pace finché la situazione non cambia o finchè io non abbandono la situazione.
Se la pace mi viene da Cristo vuol dire che io posso avere pace in un
contesto non pacifico. E vorrei qui dire una cosa molto importante: che
pacifisti ce ne stanno tanti, uomini di pace molto pochi, che pacifici (secondo
un senso troppo mondano) ce ne stanno tanti, ma
di uomini di pace molto pochi. Di pacifisti possiamo riempire gli stadi
e anche i monasteri, gli uomini di pace son tanto rati da trovare, perché è un
atteggiamento interiore, personale, evoluto oltre ogni limite. Stiamo parlando
del frutto di una situazione, che è un’identificazione del rapporto con Cristo,
“Egli” dice San Paolo “è la nostra pace”, cioè la pace che viene da ciò che Egli è per
me. Lui, Cristo, è per me Colui che “ha abbattuto” un muro (Ef): “14Egli
infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo
il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, 15annullando,
per mezzo della sua carne, …” (Ef 2,14).
La guerra è sempre una contrapposizione, c’è sempre un muro, c’è sempre
una separazione che si crea fra le due persone o fra i due gruppi.
Chi rompe il muro?
Io aspetto che l’altro che faccia qualcosa, oppure io devo trovare un
accordo con l’altro.
E invece c’è un muro interiore che viene dalla perdita dell’antagonismo:
se l’altro trova pace con me ma io non trovo pace con lui, io non sto in pace.
Se io ho mal’animo verso una persona e magari questa persona invece mi vuole
bene, io sto in guerra.
E qui inizia ad essere chiara la realtà della pace cristiana, che è una
scelta profonda del cuore, è una porta che si apre.
Se io voglio combattere posso combattere sempre; se io voglio attaccare;
se io voglio stare in guerra, ho sempre motivi per stare in guerra e con tutti;
se mi voglio lamentare avrò sempre motivi per lamentarmi; se voglio ricordare i
torti subiti, avrò sempre qualcosa da rimuginare, avrò sempre qualcosa da
rimproverare; se voglio fare la guerra avrò sempre ottimi motivi per farla, c’è
un Salmo che dice: “Cerca la pace e perseguila”. Cercare la pace. Il problema è
se io a un dato momento ricevo questo dono, perché mi apro a desiderarlo.
Se io voglio un motivo per restare in stato di contrasto ne avrò sempre
uno; se voglio un motivo per stare in pace con una persona ne avrò sempre uno;
se io voglio un motivo per trovare la connessione con l’altro c’è sempre la via
per la pace.
“Cristo è la nostra pace”, e ha trovato la via della pace mentre era
circondato dalla violenza. La sua pace è diventata la nostra pace con lui,
eppure noi lo abbiamo semplicemente crocifisso, cioè non abbiamo posto delle
altre possibilità. Noi ci siamo posti di fronte a Lui in una maniera bellicosa,
oppositiva, contrastante … e lui ha scelto la pace.
La pace è sempre possibile. Ma questo non è uno slogan. È una regola
profonda del cuore. È una scelta che noi sappiamo di non fare molto spesso.
Sappiamo che molto spesso, mentre appare, a un lato del nostro essere, la
possibilità per la pace, scegliamo di continuare a guardare tutti i motivi per
la guerra.
La pace cristiana non dipende dalle circostanze esterne. Si può
essere in pace anche in situazioni molto difficili.
All’interno di un matrimonio la pace non arriverà quando un coniuge
otterrà dall’altro coniuge tutto ciò che gli sta chiedendo, ma quando troverà pace
in se stesso e nel fatto di avere quel coniuge così come è. A prescindere dal
fatto che la moglie / il marito cambi carattere, amarlo per come è. Saper
entrare nella realtà del marito / moglie e valorizzarlo così per com’è, e non è
questo il dover scendere in continuazione nel campo del compromesso dove in
realtà nessuno ha avuto il permesso di essere se stesso e continuando a stare
in una realtà di mediazione in cui si vive in tensione perché bisogna stare al
patto.
C’è un pericolo in quello che abbiamo detto: quello di passare da una
pace dipendente dal contesto (radice ellenistica) per cui pensiamo sempre di
stare bene se gli altri ci fanno stare bene … al concetto di pace, di serenità,
di connessione con noi stessi che diventa invece l’altra deriva: quella
individualista. E questa è appunto l’altra deriva: questo concetto un po’ new
age di pace, dove io sto in pace se sto bene io: gli altri magari stanno
malissimo o la situazione è disastrosa, ma io me ne posso letteralmente
infischiare, perché l’importante è che io sto in pace (questo è
individualismo).
La tendenza a questa pace individualista è anche un rischio spirituale,
perché è una pace che non ricorda la sua origine, il suo punto di partenza: il
problema di essere un problema di contesto, che comunque resta importante.
Ovverosia, anche spiritualmente noi possiamo perseguire un rapporto
cristiano dove io cerco col Signore Gesù Cristo di essere in pace: con una
fruizione completamente egoistica del fatto cristiano, con una realtà che
prescinde totalmente dal trauma del rapporto con gli altri.
Ma la mia pace non può essere autentica se mi chiude in qualcosa che
nega il mio essere relazionale.
Stare in pace veramente
prescinde dal rapporto con l’altro, ma è un atteggiamento verso l’altro.
La pace non può che essere un atteggiamento che produce un risultato
relazionale.
Non sta in pace chi resta tranquillo di fronte a una critica, sta in
pace chi non prova malanimo, ma anzi affetto e pena e coinvolgimento per chi lo
odia.
Cristo non ci ha chiesto di essere indifferenti davanti ai nemici,
Cristo ci ha chiesto di amarli: è molto difficile tutto questo. Questo lo da lo
Spirito Santo che è amore. questo lo da non l’atteggiamento di
autoconservazione, che peraltro è questo mondo di foraggiamento del nostro
benessere [questo agognare questo momento di “pace” (“che sto in pace”, “che
sto tranquillo / nessuno mi da fastidio / nessuno mi chiede cose / nessuno mi
disturba”)].
Ma ci sarà il momento della pace in cui nessuno mi chiamerà nel momento
inopportuno? Nessuno mi disturberà con le sue esigenze / con le sue impellenze?
E non ci saranno tasse da pagare / figli … / problemi con ….?
Sì, ci sarà questo momento, per tutti: due metri per uno: la bara. La
pace che noi agognamo è la morte, e non è la pace di Cristo, è l’assenza di
relazione e di ciò che scaturisce dalle differenze che si incontrano. Allora
ciò che noi dobbiamo trovare come possibilità di una pace duratura è un saper
stare con gli altri: questo è quello che Cristo ci ha insegnato. Questo è quello
che lo Spirito Santo sa fare, che è relazione: guardiamo al giorno di
Pentecoste: questi uomini chiusi dentro un carcere di paura, escono e sanno
parlare con gli altri, sanno stare con gli altri.
La pace che da Cristo è il mio saper parlare con chi ce l’ha con me / il
mio saper cercare con calore, con coinvolgimento, con abbondanza (secondo il
concetto ebraico) la via per lasciare il mio sacrificio davanti all’altare e
andarmi a riconciliare con chi ce l’ha con me: quella è la pace, la pace è
cercare la connessione.
La nostra pace è Cristo, colui che ha abbattuto per mezzo della sua
carne l’inimicizia, cioè usa il suo corpo per trovare connessioni fra i nemici,
per trovare il modo di riconciliare le persone.
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