8. La Gioia


Il frutto della gioia lo affronteremo a partire dai molti malintesi che ci sono su questo stato.
La gioia è un frutto o uno stato emozionale?
Noi pensiamo normalmente che la gioia sia uno stato emozionale prodotto da una situazione che si verifica.

Definizione di un vocabolario di teologia biblica:
Non emozione spontanea e interna, bensì un atteggiamento totale, complesso, dotato di valore che costituisce al pari della giustizia la somma della virtù cristiana.
Cosa vuol dire? Che la gioia cristiana è un frutto. I frutti dello Spirito non sono punti di partenza, ma di arrivo.
Questo vuol dire che la gioia, come gli altri frutti dello Spirito, è una realtà derivata da un processo. Una cosa è il seme, una cosa è il frutto.

Dunque non si tratta di uno stato emozionale e basta. È anche stato emozionale, anche stato interiore, verifica di se stessi (del proprio modo di viversi), ma come derivato da un percorso.
Dobbiamo quindi uscire dall’idea di uno spontaneismo della gioia. La gioia non ci capita, non la troviamo per caso. Arriva come risultato finale di un processo, di una lunga pedagogia interiore, che può essere anche breve dal punto di vista temporale, ma che ha i suoi passi.

Ma veramente ci interessa la gioia?
Siamo proprio sicuri di essere interessati a questa esperienza?
L’esperienza insegna proprio il contrario. Non è vero che le persone vogliono stare bene, le persone desiderano stare male.
Bisogna combattere contro un’altra polarità, che attira molto le persone, molto di più della gioia.

La gioia è molto meno interessante della tristezza.
Se opponiamo la gioia all’esperienza della mestizia, dobbiamo sperimentare che di fatto la tristezza è molto affascinante, è un sentimento coinvolgente, una latenza di infantilismo che c’è nel cuore di ogni uomo.
Il ruolo della vittima è un ruolo interessante, avvolgente, piacevole, si comincia da bambini, coltivando il ricordo dei traumi, dei torti subiti, del senso di abbandono (non mi hanno scelto, non mi hanno voluto), alimentando questo piagnisteo continuo.
La tristezza è un buco affascinante, in cui chiudersi, in cui rivoltarsi (accoccolarsi), in cui chiudersi come mummie con queste facce di autocommiserazione e auto consolazione (con questo broncetto ...).

Si comincia da bimbi. Avendo questo gusto della recriminazione, vedendo il male che gli altri ci fanno, dell’alimentare questo colore autunnale affascinante, interessante, dove le persone prendono questo ruolo di essere compatite (si relazionano agli altri in quanto vittime, cercando sempre di farsi accogliere e compatire. Cercando così di farsi dare un po’ di attenzioni. Cercando qualcuno che finalmente “mi capisca”, perché “a me nessuno mi capisce”). “a me tutte le cose vanno male”: È questa latenza di pianto. Se la giornata è piovosa ti lamenti e se c’è una bella giornata ti lamenti perché ieri invece era una brutta giornata.
Con questo tono di voce tra l’accoccolato e il lamentoso.

È interessante la tristezza, dà un ruolo. Giustifica. Se andiamo a parlare anche con le persone che fanno grossi delitti, loro sono vittime. I carceri sono pieni di vittime, di perseguitati ingiustamente.
Le persone hanno sempre una storia triste da raccontare. Tutte le persone possono sprofondare in questo fango piacevole della contemplazione cupa del proprio dramma. È la persona che avverte sempre di avere il diritto di farsi due lacrime di pianto.
È il gusto di sentirsi al centro di un’attenzione di piagnisteo. Tu racconti le tue cose tristi e l’altro ti guarda con compassione: “Poverino!”. “Quanto soffre!”. “Quanto sono cattivi con te gli altri!”.

È un piacere infantile. C’è una solidarietà fra vittime, che tante volte viene scambiata per compassione o addirittura per carità. E invece non hanno niente a che vedere con tutto questo.
Ci sono tanti atti che sembrano di bene e che invece sono atti di solidarietà nella commiserazione. Dove ciò che viene costruito e alimentato è questo culto della tristezza.

Il mondo commerciale conosce bene questo fatto. I pubblicitari questi meccanismi dell’uomo li conoscono bene e ne traggono grande profitto.

Tutto questo è molto pericoloso ed è il baratro sul quale tutti noi stiamo.

La gioia non interessa a molte persone. La gioia non è un’attitudine interessante.
Con una storia triste ci si identifica; sulle cose tristi che gli altri hanno vissuto ci si proietta con i propri traumi.
Una storia di bene tante volte è noiosa. Se raccontiamo la storia di un santo, il racconto del bene che faceva, senza vittimizzarlo un po’, senza raccontare delle persecuzioni che ha subito, non sarà interessante per nessuno.
Se invece mandiamo in onda qualcosa che parla di qualche delitto di sangue efferato, stanno tutti appiccicati alla televisione / radio a sentire. Perché tutti sono a caccia del colpevole.
Allora bisogna dire che se cerchiamo la gioia bisogna smettere di cercare il colpevole. E dobbiamo interessarci alla bellezza, alla semplicità, alla limpidezza, e non essere instradati sulla via del torbido e dell’autocommiserazione.

Vediamo ora che cos’è la gioia

cara.  dal verbo cai,rw: rallegrarsi, gioire.
Sünµà (ebr.) = gioia, felicità.
Secondo i filologi la parola cara., alla radice ultima, avrebbe come senso la parola: punta di lancia o oggetto che buca un muro. Infatti c’è l’esplosione gioia, l’esultare, l’uscire fuori. La gioia è qualcosa che sboccia.
Infatti la parola ebraica sünµà appartiene ad un gruppo di termini che indicano appunto lo sbocciare / il crescere rigogliosamente / il fiorire.
Ecco che ci troviamo di fronte al frutto dello Spirito.

È piuttosto enigmatico pensare che la gioia debba essere una punta che buca qualcos’altro. O deve essere qualcosa che sboccia, che fiorisce, cresce. Viene al termine di un processo.

Quello che dobbiamo chiederci è:
Cosa deve bucare?
Cosa deve squarciare?
Da cosa deve venir fuori?
Oltre cosa deve crescere?

Ci torna utile porci di fronte a un testo che parla della felicità.
Mt: il sermone della montagna: che comincia con le famose beatitudini.
Ci torna utile vedere la versione lucana:
Lc 6: Discorso della pianura: vi troviamo un’accentuazione leggermente diversa delle stesse parole di Gesù:

“Alzati gli verso i suoi discepoli, Gesù diceva:
«Beati voi poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
beati voi che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli.
Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.

Ma guai a voi ricchi,
perché avete già la vostra consolazione.
Guai a voi che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi che ora ridete,
perché sarete afflitti e piangerete.
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti» (Lc 6,20-26).



Qui abbiamo un ottimo confronto fra due gioie.
Il problema infatti è: qual è la gioia cristiana frutto dello Spirito? Ha un suo opposto?

Il primo opposto è la tristezza
Dobbiamo decidere di non essere tristi. Dobbiamo scegliere di non autocommiserarci.

Ma la gioia può essere di più tipi:
c’è la gioia cristiana e ci sono altri modi di rallegrarsi.
C’è una felicità che si oppone a questa ripetizione del guai / a questo annunzio di sventura.
A chi viene dato questo annunzio di sventura?
A gente che ride. Curioso.
Il confronto è tra:
                chi ora piange, perché domani riderà
contro      chi ora ride,     perché domani piangerà.

La gioia ha due sorgenti:
l’immediato e la conseguenza.

C’è una gioia che viene dal prendersi subito l’occasione / sfruttare l’occasione che ho per godere, per stare bene.:
   “Guai a voi ricchi, perché avete già la vostra consolazione”. “Guai a voi che ora siete sazi”. “Guai a voi che ora ridete”.
C’è un tipo di presente gaudente che porta ad un futuro triste.
C’è un presente gaudente che porta ad un futuro triste.

La gioia effimera / falsa, la gioia come la gomma da masticare: due minuti di sapore e poi una sciaperìa del tutto insopportabile. Un po’ così sono tante gioie della vita e tante offerte edonistiche che ci vengono offerte: adesso subito bruciare come un fuoco di paglia, tante gioie che mi vengono offerte.
Queste sono le gioie che normalmente noi ci cerchiamo:
la soluzione immediata di un problema, la decompressione di uno stato di tensione: semplicemente togliersi di dosso nell’immediato i problemi. Come uno che deve parcheggiare e mette la macchina in un divieto di sosta perché non ha voglia di mettersi a girare per trovare un posto migliore.
Fare le cose alla meno peggio con la prima occasione che ci troviamo per mano.

La gioia cristiana
Essere poveri ora,
avere   fame   ora,
piangere         ora,   per ridere.

Cioè qual è il dinamismo della gioia cristiana?
Rileggo la definizione di quel dizionario:
Non emozione spontanea e interna, bensì un atteggiamento totale, complesso, dotato di valore che costituisce, al pari della giustizia, la somma della virtù cristiana.

Ovverosia c’è la gioia di un atto che deriva dalla fede, dall’abbandono, dall’apertura all’altro, che implica un primo stato di morte.
È interessante notare che gli orientali parlano di gioia pasquale. La gioia pasquale è la gioia di chi esce fuori da un evento.
C’è la gioia come risultato e c’è la gioia come premessa.
La gioia di questo mondo è la premessa all’insipidezza, come quella della gomma americana: cioè di quella realtà che in questo  momento consuma tutto il bene che c’è, per lasciarmi un effetto collaterale stabile di vuotezza.

E c’è invece l’entrare nel deserto della trasformazione.
Un atto d’amore non è mai un atto che ha come primo scopo la mia gioia; ha come primo scopo l’A/altro: l’obbedienza a Dio, la fiducia. C’è un momento traumatico iniziale che prelude all’esperienza pasquale, passare per il momento di negazione per arrivare ad un’affermazione / partire da una negazione di oggi per arrivare a un frutto positivo, stabile che ne consegue.
Nella vita ciò che conta non sono le premesse, ma le conseguenze delle cose. Le premesse sono importanti, devono essere ben poste, possono rovinare tutto. Ma io dei miei atti mi devo chiedere: Ma dove mi portano? Dove vado a finire? Dove arrivo? Io adesso risolvo questo problema, con una bugia, e poi …? Io adesso risolvo questo problema: con uno scatto di rabbia si può risolvere uno stato di tensione: si batte il pugno sul tavolo e viene un silenzio e l’altro si blocca. Il problema adesso è risolto. E poi? Poi viene la morte.
Dal piacere di essersi tolta una soddisfazione, ne deriva una distruzione, tutta una serie di rapporti da ricostruire, di occasioni mancate, di bene ormai dimenticato.

Invece c’è l’atto di aprirsi ad una gioia che è dopo, che viene dopo, che è conseguenza, derivata da una scelta che oggi mi costa, che oggi mi chiede di negarmi, di trascendermi, di andare oltre il mio immediato piacere.
Sono molti gli atti che procurano gioia.
Voi certamente avete avuto qualche esperienza di gioia duratura. Bisogna tornare a quelle sorgenti di gioia che tutti conosciamo, a quegli atti sani di fede, di obbedienza, di fiducia, di edificazione, di scelta del bene, che magari oggi sono un piangere, per ridere domani, oggi un essere poveri, per essere ricchi domani.
Bisogna fare delle scelte a monte, a valle diventa gioia.
A monte io ho scelto di rallegrarmi scegliendo la pace, quindi rinunciando alla guerra.
Forse negandomi certe rivendicazioni / certi piaceri. Ma il piacere vero è quello duraturo, quello che deriva da una scelta di bene.

La gioia cristiana è veramente frutto di obbedienza allo Spirito Santo. Ci sono intuizioni di bene, che ci portano nell’agire, ad assecondare una chiamata alla luce, che c’è nel fondo del cuore di ogni uomo.
Gesù, quando inizia il suo ministero, invita alla gioia, invita all’allegria, a credere alla “buona notizia”, a credere al bene, e quindi a convertirsi.
Convertitevi e credete al Vangelo (euangèlion: buona novella, felicità annunziata), ma prima c’è qualcosa da lasciare. Questa negazione è la costruzione di una gioia vera, autentica, che non si dimentica più.
Quante gioie abbiamo dimenticato!? Quante soddisfazioni immediate ci siamo tolti, che poi in realtà ci hanno lasciato tutti i problemi.

La gioia cristiana è il punto finale di un percorso, che passa per il deserto per arrivare alla terra promessa / che passa per l’abbandono dell’uomo tenebroso, infelice, obbediente al torbido (che è in ognuno di noi), per obbedire al semplice Figlio di Dio (che è seminato in ognuno di noi).
In ogni uomo e nel battesimo a fortiori, la gioia è una scelta che costa l’abbandono di ciò che non ci fa bene. 

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